PEDRO TORRES – Processi 151

PEDRO TORRES, FESSURA


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 | MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

SCHEDA TECNICA

Fessura

Pedro Torres

2024

Installazione con videoproiezione, suono, veneziane automatizzate, faretti, specchi e carta

L’osservazione della luce – e delle ombre – è un fenomeno fondamentale, un’esperienza che dà luogo alla scienza e all’arte, due modi di intendere noi stessi nel mondo. Fessura è l’installazione che nasce dalla ricerca sul rapporto tra luce e materia. Basata sui concetti di interferenza e diffrazione, l’opera racchiude elementi di carattere specifico che si verificano nello spazio stesso in cui è stata concepita e in cui viene esposta.

L’installazione riunisce vari elementi – tende veneziane, videoproiezione, faretti, specchi, carta e suono – che si configurano come un dispositivo scientifico, mancato, per creare uno spazio fittizio. Uno spazio che gioca con la percezione visiva e provoca uno spostamento dello sguardo.

Il video proiettato duplica la realtà e si confonde con essa. Le veneziane fungono da schermo e allo stesso tempo da membrana, con un movimento di apertura e chiusura costante ma lento, come un respiro, mettendo in discussione le nozioni umane di dentro e fuori, di continuità e discontinuità. Questa scelta, per costituzione, rimanda all’esperimento scientifico della doppia fenditura, fondamentale per la comprensione del comportamento della luce (come onda e come particella). Qui le fenditure si moltiplicano e cambiano scala, diventano spazi interstiziali attraverso i quali filtra la luce.

Fessura rende visibili alcuni intrecci fisici e mette in discussione l’apparenza della realtà. È una breccia nel nostro rapporto con la luce. Una luce che ci penetra, ma anche che diffrange, causando interferenze e intrecciando tutto.

Crediti:

Concept: Pedro Torres

Registrazione e montaggio video, programmazione luci: Pedro Torres

Suono: Unai Lazcano

Programmazione Arduino: Miguel Ángel de Heras (Hangar)

FESSURA, IL PROGETTO

Fisura [Fessura] dalla nozione scientifica di interferenza per approfondire il rapporto tra la misurazione e la conoscenza che abbiamo della realtà. In fisica, questa interferenza viene osservata attraverso l’interazione dell’ambiente con la luce, che viene disturbata e crea diversi modelli di interferenza. Al centro di questi esperimenti c’è una delle caratteristiche fondamentali della luce – la dualità onda-particella – e il suo comportamento di diffrazione. “La diffrazione”, dirà Karen Barad, “misura gli effetti della differenza, ma ancora più profondamente evidenzia, mostra e rende visibile la struttura intrecciata dell’ontologia contingente e mutevole del mondo, compresa l’ontologia della conoscenza”. Fisura si basa sulla ricerca attorno a questi concetti per proporre un’opera che cerca di destabilizzare la nostra percezione del reale attraverso i sensi e l’esperienza spaziale.

 

SU PEDRO TORRES

PedroTorres

Pedro Torres incentra principalmente la sua pratica artistica sul concetto del tempo, esplorandone diversi aspetti, da approcci e prospettive differenti, sia scientifiche che filosofiche. A partire da questo asse centrale, connette il tempo con altre aree della nostra esperienza, come lo spazio, la materialità, la memoria, il linguaggio e anche l’immagine. Nella sua pratica impiega una varietà di mezzi di comunicazione, cercando un equilibrio tra estetica e sfera concettuale. I temi e le teorie scientifiche sono molto presenti, così come la necessità di esplorare diversi media e processi e di indagare in modo metodologico, intuitivo e poetico. Ha realizzato mostre personali e partecipato a mostre collettive e biennali in Spagna, Italia, Ecuador, Colombia, Argentina, Messico e Turchia. Ha ricevuto premi e sovvenzioni, come la borsa di studio Barcelona Crea, la borsa di ricerca del Dipartimento di Cultura della Generalitat de Catalunya, la PostBrossa, la borsa di Exchange art3/Homesession, gli Ayudas a la Creacción S.O.S ARTE/CULTURA di Vegap, il bando di produzione della Fondazione “la Caixa” e la borsa di studio per le arti visive della Fundación Botín, tra gli altri. Ha partecipato a residenze artistiche in Francia, Islanda, Corea del Sud, Germania e Spagna. Le sue opere si trovano nelle collezioni di MACBA, Fundación Botín, Blueproject Foundation, Colección Untitled e collezione olorVISUAL.

Web: https://www.pedrotorres.net
Instagram: @pedrooootorres

LOLA SAN MARTÍN ARBIDE – Processi 151

LOLA SAN MARTÍN ARBIDE

MUSICA PSICO-GEOGRAFICA. LA SPERIMENTAZIONE SONORA NELL’INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA (1957-1972)


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 |  MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

SCHEDA TECNICA

L’arte come atmosfera e la musica come sottofondo sonoro 

Lola San Martín Arbide

2024

Walter Olmo (Alba, 1938-Roma, 2019), Come non si Comprende l’Arte Musicale. Morte e Trasfigurazione dell’Estetica, 1957

Documento originale in mostra

 

MUSICA PSICO-GEOGRAFICA. LA SPERIMENTAZIONE SONORA NELL’INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA (1957-1972), IL PROGETTO

Nel corso della storia, la musica accademica è stata utilizzata come musica di sottofondo più spesso di quanto si possa pensare. Dal Novecento in poi, il pubblico delle principali sale da concerto è diventato gradualmente più silenzioso per consentire un ascolto concentrato, riflessivo e analitico. Questo tipo di ascolto è tuttavia un’eccezione. Molte opere che oggi ascoltiamo in questo modo sono state composte come sottofondo sonoro per azioni quotidiane, come godersi un banchetto o conciliare il sonno. È il caso della Tafelmusik di Georg Philip Telemann e delle Variazioni Goldberg di J. S. Bach, per citare due casi paradigmatici. Tuttavia, è solo all’inizio del Novecento che avviene una differenza formale nella composizione della musica d’ambiente e di quella concepita per un ascolto attento. La musica di sottofondo è quindi concepita come necessariamente discreta e la sua durata e struttura dipendono più dalle esigenze specifiche della vita quotidiana che dalle convenzioni compositive delle varie forme musicali quali la sonata, la fuga, il rondò, ecc. In questo modo, la musica d’ambiente si avvicina al design industriale e acquisisce pertanto le sfumature dell’utilitario e del funzionale.

La musica d’ambiente si colloca quindi all’estremo estetico opposto rispetto alla famosa concezione dell’arte per l’arte. Si tratta piuttosto di “soddisfare bisogni utili”, come disse il compositore francese Erik Satie (1866-1925), che teorizzò questo genere funzionale con i suoi brani noti come Musique d’ameublement (1917), che definì suoni industriali. Satie lavorò in una Parigi rivoluzionata da nuove forme di consumismo e intrattenimento popolare. Sia la sua musica d’ambiente che quella cinematografica devono molto a questo contesto urbano, dove hanno attinto tanto dalla musica da cabaret quanto dai suoni delle strade e dal design industriale e dai suoi materiali. Così, alcune delle sue brevi composizioni d’ambiente hanno titoli come “Piastrelle sonore” (Carrelage phonique) o “Arazzo in ferro battuto” (Tapisserie en fer forgé). Nel “Saggio sulla musica d’arredamento” Satie difende la sua proposta di uno sfondo musicale con un tono scherzoso che imita gli slogan pubblicitari e annuncia questo tipo di musica come un nuovo genere che può essere “confezionato su misura”.

La musica utilitaristica di Satie è stata descritta come un vicolo cieco. La figura di questo compositore è stata recuperata solo nella seconda metà del Novecento nel contesto della neoavanguardia attraverso il compositore americano John Cage. Descritto come una figura discordante e marginale nel contesto di Parigi, sembra che Satie non abbia lasciato tanti discepoli tra i compositori quanto tra gli artisti di altre discipline. Il fotografo Man Ray descrisse Satie come l’unico compositore che avesse anche gli occhi. Nella sua Francia natale, il pittore francese Maurice Lemaître, membro del gruppo d’avanguardia dell’Internazionale Lettrista, rivendicava la “musica di Satie che non serve a nulla” come uno dei meriti dell’avanguardia storica. L’Internazionale Lettrista si unì alla London Psychogeographical Association e al Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista per fondare l’Internazionale Situazionista nel 1957.

L’Internazionale Situazionista tenne il suo congresso di fondazione nell’estate del 1957 nel paesino di Cosio d’Arroscia, in Liguria. Questo collettivo basava gran parte della sua sperimentazione artistica sullo studio e la creazione di ambienti. L’atteggiamento utopico dei situazionisti si proponeva di smantellare il concetto di opera d’arte autonoma e di favorire invece la “dissoluzione dell’arte in una rivoluzione politica”. Una delle principali preoccupazioni di questa rivoluzione era il modo in cui l’ambiente urbano condiziona la vita emotiva delle persone. Da qui nacquero la pratica della deriva psicogeografica e il concetto di urbanistica unitaria, che chiedevano entrambi di trasformare la città in un campo di possibilità in cui il soggetto non fosse estraneo al gioco e all’avventura. In questo contesto, la pratica artistica si orientava non verso la creazione di opere autonome, bensì verso la costruzione integrale di un’atmosfera.

Il 30 maggio 1958 venne inaugurata alla Galleria Notizie di Torino La Caverna dell’antimateria, opera del pittore piemontese Pinot-Gallizio e del figlio Giors Melanotte. Si tratta di un’opera pionieristica di installazione multimediale e immersiva nel contesto dell’avanguardia europea. Le pareti di questa caverna erano ricoperte dalla pittura industriale di Gallizio, che veniva venduta al metro e che, come la Musique d’ameublement di Satie, poteva quindi essere realizzata su misura. La Caverna era un ambiente totale, in cui convergevano la pittura e il suono, la diffusione di profumi e il movimento di figure umane, anch’esse vestite con le tele di Gallizio.

Rispondendo ai precetti situazionisti, il compositore Walter Olmo (1938-2019) – unico musicista tra i fondatori dell’Internazionale Situazionista – ideò una musica d’ambiente con sottofondi sonori, i cui principi applicò all’installazione torinese della Caverna, la cui componente sonora proveniva da un theremin modificato. Tra i suoi testi del 1957 ricordiamo “Come non si Comprende l’Arte Musicale. Morte e Trasfigurazione dell’Estetica”, qui presentato integralmente.

Gallizio immaginava che la sua pittura industriale potesse avere una varietà di applicazioni, ad esempio nell’arredamento e nell’architettura. Olmo, da parte sua, aveva iniziato a sperimentare la manipolazione del suono a metà degli anni Cinquanta, utilizzando nastri magnetici. La sua musica per sottofondi sonori doveva essere discreta e adattarsi alla vita quotidiana. Olmo ne prevedeva la diffusione in spazi come salotti, bar, biblioteche, cucine, ecc. Il musicista, produttore e compositore britannico Brian Eno (1948) ha definito la sua ambient music negli stessi termini. Olmo si riferiva alla sperimentazione con il rumore dei futuristi come uno dei precedenti storici della sua musica d’ambiente. Eno, d’altra parte, cita nei suoi scritti Muzak, il marchio americano che negli anni Trenta vendeva musica d’ambiente per negozi e abitazioni e il cui nome designa genericamente questa musica, chiamata anche canned music, musica da ascensore, musica leggera ecc.

Il primo album di musica di sottofondo di Eno, Ambient 1: Music for Airports (1978), è spesso considerato l’opera che ha inaugurato il genere. Fu utilizzato in pubblico all’aeroporto La Guardia di New York e fu il primo di una lunga serie di album d’ambiente del compositore. L’idea centrale che collega queste tre menti originali è il suo carattere industriale e la possibilità di comporre una musica che non culmina mai in una cadenza finale: la musica d’ambiente si adatta alla durata delle attività della vita quotidiana.

Proprio come Satie e Olmo, la musica d’ambiente di Eno è il frutto del suo interesse per i parallelismi tra musica e pittura e per la capacità della musica di creare ambienti immersivi. L’utopia della meccanizzazione della composizione della musica d’ambiente, del suo design e della sua produzione industriale, si concretizza nel caso di Eno nelle applicazioni per telefoni cellulari sviluppate dal compositore in collaborazione con Peter Chilvers. Queste producono la cosiddetta musica generativa che rende obsoleta la figura del compositore. Il compositore vive ora nel telefono di chiunque scarichi l’applicazione, creando così una musica d’ambiente infinita ma sempre mutevole.

La musica d’ambiente di Satie, Olmo ed Eno si basa sull’esplorazione della nozione di utilità applicata alla musica. Questa nozione è veicolata attraverso l’utopia macchinista di progettare sistemi creativi o dispositivi industriali in grado di generare arte, un’arte liberata dagli aspetti mondani della creazione artistica, come i vincoli di spazio e tempo di un’opera d’arte convenzionale o la necessità di ispirazione e ingegno. Questi sistemi producono ripetizioni a volontà e generano una composizione che promette di fondersi con l’ambiente. È paradossale, tuttavia, che questi esempi siano musica d’ambiente relativamente poco discreta: quella di Satie per la sua sonorità incisiva, quella di Olmo per il contesto espositivo in cui si inserì, mentre quella di Eno attira l’attenzione dell’ascoltatore per la sua originale finezza. In ognuno dei tre casi si può apprezzare lo sforzo dei compositori di rivendicare il diritto al silenzio, di non rovinare le atmosfere quotidiane utilizzando come sottofondo sonoro opere che non sono state concepite per questo uso, e di offrire un’alternativa specificamente pensata per questo scopo. Satie lo ha fatto partendo dall’avanguardia più ironica, Olmo dall’utopia rivoluzionaria ed Eno dal fascino per la tecnologia della produzione musicale.

 

SU LOLA SAN MARTÍN ARBIDE


Lola SanmartinBilbao, 1987. Lola San Martín Arbide si è laureata in Storia e Scienze della Musica e in Traduzione e Interpretazione presso l’Università di Salamanca. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Musicologia presso la stessa università nel 2013 con una tesi sulla musica d’ambiente, lo spazio urbano e l’arte multimediale. Da allora ha lavorato come ricercatrice post-dottorato presso l’Università dei Paesi Baschi ed è stata ricercatrice presso la Oxford University e l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi. Attualmente è ricercatrice Ramón y Cajal nell’Area della Musica dell’Università di Siviglia. Ha effettuato soggiorni di ricerca presso l’Observatoire musical français (Paris IV-Sorbonne), la University of California Los Angeles (UCLA) e il New Europe College-Institute for Advanced Study (Bucarest).

Le sue principali linee di lavoro sono la storia culturale della musica dal XIX secolo in poi, gli scambi tra le arti, la musica nei media audiovisivi, i rapporti tra musica e spazio urbano, l’ecologia sonora e la storia delle emozioni, in particolar modo la nostalgia. Ha pubblicato articoli e numerosi capitoli di libri su Erik Satie e Claude Debussy, sull’opera Carmen, sulle mappe sonore e attualmente sta scrivendo una monografia sul paesaggio sonoro e musicale di Parigi attraverso il cinema, la letteratura e la musica del XIX e XX secolo.

IXONE SÁDABA – PROCESSI 151

IXONE SÁDABA, abitare le rovine della modernità 


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 | MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

SCHEDA TECNICA

Abitare le rovine della modernità

Ixone Sádaba

2024

 

TITOLO 1: CHI SOSTIENE L’ISTITUZIONE? I PARALIZZATO DALLA PAURA

TITOLO 2: CHI SOSTIENE L’ISTITUZIONE? II VIVO SENZA MEMORIA

Fotografie in stampa digitale su carta di cotone.

140 x 100 cm.

Ed 1/3.

2024

 

TITOLO 3: ROTTURA, SOSTEGNO E STRUTTURA DELLA ROVINA MORALE I

TITOLO 4: ROTTURA, SOSTEGNO E STRUTTURA DELLA ROVINA MORALE II

Strutture di legno e metallo + diversi elementi personali.

Dimensioni variabili.

Edizione unica.

2024

 

ABITARE Le rovine della modernità, il progetto

L’impalcatura è una struttura ausiliare e, al tempo stesso, essenziale nella conservazione architettonica delle rovine. Una struttura che mi interessa particolarmente per tre ragioni: per il carattere interessante della sua forma, per il fatto di sostenere e mantenere e per il modo in cui questo la lega alla maternità.

Partendo dal riferimento iniziale delle strutture di consolidamento delle rovine nate nell’Ottocento, prospetto qui un cambiamento di paradigma, un gioco semantico e formale sull’idea di rovina rispetto a quella della cura e del sostegno. Il progetto sviluppato in Accademia si concretizza in un’installazione di quattro opere, che concilia scultura e fotografia e che mi ha permesso di continuare l’esplorazione su cui si basa gran parte del mio lavoro.

Che cosa segnaliamo per il futuro? Stiamo puntellando una rovina morale?

Mentre ci sforziamo di sostenere le rovine di un impero, avanziamo tramite un processo di distruzione sociale sistematica. Un’idea di progresso che, nata dopo la Seconda guerra mondiale fondamentalmente negli Stati Uniti, convive con una forma patriarcale di fare politica che conforma la storia dell’Occidente (compresa la storia di Roma) e che ci ha portato fino a questa modernità ereditata; semplificata, etnocentrica e distruttiva. L’arroganza dei conquistatori e delle corporazioni rende incerto ciò che possiamo tramandare alla generazione successiva, umana e non umana.

Dalla mia posizione di artista e ricercatrice mi chiedo, come possiamo utilizzare meglio la nostra ricerca per arrestare l’ondata di rovina?

Possiamo mettere al centro l’atto del sostenere, del puntellare? È questo il ruolo del femminismo in pieno antropocene? E qual è il ruolo dell’immagine e della rappresentazione all’interno di un nuovo immaginario simbolico?

Che cosa decidiamo di preservare per il futuro?

L’impalcatura è una struttura ausiliare e, al tempo stesso, essenziale nella conservazione architettonica delle rovine. Usando come riferimento iniziale le strutture di consolidamento delle rovine nate nell’Ottocento, si prospetta un gioco semantico e formale sul trattamento preventivo della rovina. Un cambiamento di paradigma nel nostro concetto di cura e conservazione. Ponendo l’accento sull’atto di sorreggere e non sul sorretto.

Attraverso gesti di montaggio e assemblaggio, Sádaba genera una serie di paesaggi materiali costruiti con elementi trovati all’interno della fabbrica che comprendono vestiti da lavoro, mobili, piante e oggetti vari. In questo modo, le opere generano un racconto sulla materialità dell’Antropocene e un dialogo con le rovine architettoniche della centrale nucleare.

 su IXONE SÁDABA

Ixone Sadaba

Ixone Sádaba è un’artista e ricercatrice nata a Bilbao. Si è laureata in Belle Arti presso l’Università dei Paesi Baschi e ha completato la sua formazione presso l’Università Antonio de Nebrija di Madrid nel 2001 e con il Postgraduate Program dell’International Center of Photography di New York nel 2005.

Con oltre 20 anni di esperienza nel mondo dell’arte, ha sviluppato il suo lavoro tra gli Stati Uniti, Londra e l’Iraq e ha esposto le sue opere a livello internazionale in luoghi come il Museo Guggenheim di Bilbao, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, il MoCCa Contemporary Art Museum di Toronto e il Contemporary Arts Center di New Orleans.

 

 

ALEX RODRÍGUEZ SUÁREZ – Processi 151

ALEX RODRÍGUEZ SUÁREZ

LE CAMPANE DI ROMA: UN PATRIMONIO ARTISTICO SCONOSCIUTO


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 |  MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

Le campane di Roma: un patrimonio artistico sconosciuto, il progetto

Le campane di Roma: un patrimonio artistico sconosciuto ha esaminato più di cento campane presenti in chiese, monasteri, edifici pubblici e musei della capitale italiana. Questi strumenti in bronzo furono fondamentali per annunciare e regolare sia la fede cristiana che lo scorrere del tempo. Alcune suonano ancora, altre sono silenti, ma ognuna di esse ha una storia da raccontare. L’esplorazione è consistita principalmente nell’annotazione delle misure (altezza e diametro), nella lettura delle iscrizioni e nell’analisi della decorazione. Lo studio di tutte queste informazioni sarà imprescindibile per tracciare l’evoluzione storica di questo strumento e della sua produzione nel corso dei secoli, dal Medioevo ai giorni nostri. Anche se in alcuni casi l’accesso alle campane è stato difficile, tutti gli strumenti studiati sono stati fotografati, in un modo o nell’altro. Questo materiale fotografico, in gran parte inedito, sarà accessibile in un database online creato appositamente per questo progetto. L’obiettivo è quello di condividere una parte del patrimonio campanario di Roma, affinché ciò che tutti possiamo ascoltare possa essere ammirato anche visivamente. Il numero di campane esplorate è in realtà una percentuale molto piccola del numero totale degli strumenti presenti in città. Tuttavia, è un contributo alla scoperta di una parte particolarmente sconosciuta del patrimonio culturale della città eterna.

 su ALEX RODRÍGUEZ SUÁREZ

ALEX RODRÍGUEZ_FOTO

Dottore di ricerca in storia bizantina (King’s College London, 2014). Da allora ho condotto progetti di ricerca in Turchia (ANAMED, AKMED), Bulgaria (CAS SOFIA), Stati Uniti (DumbartonOaks – Harvard University), Italia (Centro Vittore Branca), Grecia (American School of Classical Studies di Atene), Libano (Orient-Institut Beirut), Israele e Palestina (W.F. Albright Institute of Archaeological Research). La maggior parte di questi progetti si è incentrata sul paesaggio sonoro religioso delle comunità cristiane dell’Europa sudorientale e del Levante mediterraneo, in particolare sull’uso delle campane.

Web: https://independentresearcher.academia.edu/AlexRodriguezSuarez

ANE RODRÍGUEZ ARMENDARIZ – Processi 151

ANE RODRÍGUEZ ARMENDARIZ, MATERIE DI CURA


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 | MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

MATERIE DI CURA, IL PROGETTO

Materie di cura è un progetto di ricerca speculativa e propositiva sulle pratiche di cura nel campo delle istituzioni artistiche. Nel suo aspetto speculativo, cerca di esplorare il potenziale del campo dell’arte per generare spazi di cura. Nel suo aspetto propositivo, mira a raccogliere e presentare le strategie esistenti, offrendo alternative concrete. Concentrandosi su casi di studio provenienti dal contesto italiano, il progetto si è concentrato in particolare su ambienti di intensa convivenza, come le residenze artistiche. Ispirandosi ai postulati ecofemministi di María Puig de la Bellacasa, che sottolineano la natura intrinsecamente relazionale della conoscenza, la ricerca ha proposto processi collettivi di riflessione articolati attraverso diversi formati.

 Nel corso di questi sei mesi sono state sviluppate diverse attività che hanno approfondito la ricerca.

 1. Materie di cura

Stampa digitale, formato 70 x 100

Design dell’immagine: Igor Baiona

Testo del progetto. >>> Per leggere di più, cliccate qui: Materie di cura_IT

2. Tassonomia della cura

Vinile tagliato.

Audio 5’48”.

Grazie a Belenish Gil Moreno e Óscar Escudero per la registrazione e il montaggio dell’audio.

Definizioni sulla cura date da diversi borsisti e operatori dell’Accademia Reale di Spagna alla domanda Qual è la tua definizione di cura? nel marzo 2024. Grazie a: Alejandro, Alex, Alonso, Amaya, Begoña, Belén, Brigitte, Carmen, Cecilia, Kimi, Lidia, Luz, Maria, María Luisa, Miguel, Óscar, Pedro C, Petro T, Rocío, Rubén, Simona. Anche a Camila per essersi unita alle letture effettuate da diversi colleghi nel giugno 2024.

3. Letture di cura

Stampa digitale 80 x 50

Design dell’immagine: Igor Baiona Munain

Compendio dei testi letti durante le sessioni di lettura.

Letture di cura è stato un gruppo di lettura nell’ambito del progetto Materie di cura. Attraverso i testi proposti da ciascun ospite, sono state affrontate questioni relative alla prassi istituzionale a partire da postulati teorici. Ognuno di loro ha presentato testi particolarmente rilevanti per il proprio modo di intendere e affrontare l’istituzione.

Ospiti: Chiara Cartuccia, Elena Agudio, Simone Frangi, The Glorious Mothers, Castro Projects e Ayse Idil Idil, Gioia Dal Molin.

Si ringraziano tutti i partecipanti per il loro contributo:

Agnese, Alba, Alessandra, Angelica, Anna, Ayse, Caterina, Cecilia, Chiara C., Chiara P., Dafne, Dani, Daniele, Dora, Elena A., Elena B., Erika, Eva, Fabiola, Federica, Federico, Flavia, Francesca, Ginevra, Gioia, Irene, Ixone, Joshua, Justa, Marta, Paulina, Renata, Sara A., Sara B., Sarina, Simone, Valerio.

4. Verso un’idea di cura

Il 20 e 21 maggio si è svolto il programma pubblico che ha concluso il progetto Materie di cura. Verso un’idea di cura. Esperienze e proposte per le istituzioni artistiche è stata la naturale prosecuzione delle sessioni di lettura che hanno cercato di trovare le basi per attivare le nostre organizzazioni da prospettive più solidali. Il seminario ha mostrato diversi esempi e proposte provenienti dalla Spagna e dall’Italia che esplorano le dinamiche relazionali tra le istituzioni e le loro comunità, con particolare attenzione al concetto di cura e ai suoi immaginari.

Programa:

Introduzione. Ane Rodríguez Armendariz. On making home. Elena Agudio, Anna Serlenga, Fabiola Fiocco. On supporting collectively. Flavia Introzzi.     On making relationsRoser Colomar, Cecilia Canzani & Ilaria Gianni, Valerio del Baglivo. On caring beyond the human, Erika Mayr. On making time. Alba Colomo, Francisco Navarrete, Andrés Gallardo, Flavia Prestininzi.On your hands, on your breath.  Sarina Scheidegger.

Video riassuntivo del programma pubblico Verso un’idea di cura

Video, 6′.

Regia e montaggio di Marcos Mendívil.

Grazie a Cecilia Barriga.

Come preludio all’attività pubblica, un workshop ha riunito curatori con sede in Spagna o in Italia con esperienza in organizzazioni artistiche e programmi di accoglienza per artisti per scambiare prospettive sulle possibilità e i limiti delle istituzioni artistiche.

Il workshop è stato facilitato da Irene Angenica e Ane Rodríguez Armendariz, con la partecipazione di Alba Colomo (La Escocesa, Barcelona), Ane Agirre Loinaz (Tabakalera, San Sebastián), Anna Tagliacozo (Castro Projects, Roma), Chiara Cartuccia (Comisaria invitada en la Unidad de Residencias UNIDEE, Fondazione Pistoletto, Biella), Chiara Siravo (Locales, Roma), Elena Agudio (Villa Romana, Florencia), Flavia Introzzi (hablarenarte, Madrid), Francesco Navarrete (L’Aquila Reale, Licenza), Frédéric Blancart (Villa Medici, Roma), Ginevra Ludovici (CampoBase, Roma), Ilaria Gianni (IUNO, Roma), Ilaria Mancia (comisaria independiente, Roma), Roser Colomar (Idensitat/ Cultura Resident, Barcelona/Valencia).

SU ANE RODRÍGUEZ ARMENDARIZ


Ane Rodríguez Armendariz RRSS-WEB

Ane Rodríguez Armendariz lavora all’intersezione tra curatela e gestione culturale, in quella che concepisce come pratica istituzionale, uno spazio da cui riformulare e definire le modalità di funzionamento delle istituzioni artistiche in relazione alle loro comunità. È da questa posizione che affronta il lavoro che ha svolto in diverse istituzioni culturali spagnole negli ultimi 18 anni.

Da settembre 2020 a giugno 2023 è stata responsabile del Centro de residencias artísticas de Matadero Madrid, dove ha articolato una serie di programmi volti a sostenere e accompagnare gli artisti. Come direttrice culturale di Tabakalera (San Sebastian, Spagna) tra il 2012 e il 2019, è stata responsabile della configurazione del progetto culturale iniziale, che comprendeva programmi di sostegno alla produzione di arte e conoscenza, attraverso mostre, residenze e programmi pubblici.

Il suo interesse per il cinema e le arti visive l’ha portata a lavorare anche in un luogo intermedio di linguaggi audiovisivi sperimentali che attraversano tanto i cinema quanto le sale espositive. Ha lavorato con artisti come Yto Barrada, Itziar Okariz, Eric Baudelaire, Esther Ferrer, JumanaManna, Uriel Orlow o Filipa Cesar.

Dal 2020 è tutor dei progetti presso la Elías Querejeta Zine Eskola.

ROCÍO QUILLAHUAMAN – Processi 151

ROCÍO QUILLAHUAMAN, PURIYKACHAY


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 |  MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

SCHEDA TECNICA

Puriykachay (Pasear)

Rocío Quillahuaman

2024

 

Tecnica: cartone animato/video digitale.

Durata: L’opera durerà 10 minuti, in questa mostra ne viene presentata soltanto una parte.

Genere: dramma, commedia.

Regia, sceneggiatura, disegno e animazione: Rocío Quillahuaman

Colonna sonora: Néstor F.

Descrizione dell’opera: Un cortometraggio che parla del camminare, del ricordare e dell’andare avanti.

 

PURIYKACHAY, IL PROGETTO

“Puriykachay” (titolo provvisorio) è un cortometraggio che affronta il conflitto di identità e la dissociazione che ha subito come migrante. Nelle strade di Roma, dove il presente e il passato sono in costante dialogo, una ragazza cammina e riflette sul proprio passato. Il passato in Perù, la città in cui è nata, e Barcellona, la città in cui è emigrata con la sua famiglia quando era bambina. La passeggiata scatenerà ricordi e riflessioni sui conflitti di una famiglia di migranti che non ha voluto guardare indietro per poter andare avanti, ma il cui passato ne ha plasmato l’identità e rimane latente nelle loro vite. Quest’opera audiovisiva si interroga su ciò che dobbiamo lasciarci alle spalle per avere un presente e un futuro, su ciò che perdiamo o guadagniamo nel processo di migrazione e, in generale, sul voler andare avanti.

Nota dell’autrice sulla tecnica: questo cortometraggio è principalmente di animazione, ma durante la permanenza all’Academia de España en Roma, l’autrice ha scoperto un nuovo modo di raccontare attraverso una handycam e ha voluto registrarlo nella scena “Roma”.

 

 SU ROCÍO QUILLAHUAMAN

FOTO ROCIO QUILLAHUAMAN WEBRRSSHALL

Rocío Quillahuaman è nata a Lima nel 1994 ed è emigrata con la famiglia a Barcellona nel 2005. Ha studiato Comunicazione audiovisiva all’Università di Barcellona, ha lavorato nell’ambito della produzione e anche come redattrice e sceneggiatrice. All’età di vent’anni ha iniziato a disegnare ritratti per divertimento, ma la cosa le è sfuggita di mano: ha disegnato più di 300 ritratti che ha esposto a Madrid e Barcellona. Da autodidatta, ha iniziato a creare video animati che sono diventati molto popolari sui suoi social network, grazie al loro tono critico e umoristico. Il linguaggio delle sue creazioni e il senso dell’umorismo pungente e sarcastico con cui fa osservazioni sulla cultura e la società contemporanea l’hanno resa un’artista di riferimento. Attualmente collabora alla creazione di opere di animazione e illustrazione con diversi marchi, organizzazioni ed enti. Ha realizzato circa 500 animazioni e ha scritto il suo primo libro, Marrón, pubblicato da Blackie Books.

Web: https://rocioquillahuaman.com/

Instagram: @rocioquillahuaman

MÒNICA PLANES – Processi 151

MÒNICA PLANES, PILA


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 | MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

SCHEDE TECNICHE

Pila

Mònica Planes

2024

 

Era verso fuori e ora verso dentro (non si vanta più), 2024

Malta di sabbia e grasso vegetale, fagioli, paraffina, gesso, legno

100 x 40 x 30 cm

 

Svolta inaspettata (insostenibile), 2024

Malta di sabbia e grasso vegetale, paraffina, gesso, garza, legno

100 x 60 x 30 cm

 

Manca un corpo allungato (abbraccio), 2024

Malta di sabbia e grasso vegetale, fagioli, paraffina, gesso, legno cemento

75 x 195 x 35 comunque

 

Pila è un’indagine scultorea sulla rappresentazione del corpo in movimento nel corso della storia. Le tre sculture sono il risultato di questa ricerca in Italia. Sono fatte con una malta di sabbia e grasso vegetale e prendono forma usando il corpo intero come uno strumento per dare forma al materiale.

 

PILA, IL PROGETTO

Pila è un’indagine scultorea sulla rappresentazione del corpo in movimento nel corso della storia: quali tipi di corpi sono stati rappresentati, in quali posture, con quali materiali, con quale motivo e come sono entrati in relazione con l’ambiente circostante. La ricerca si articola in tre parti. La prima parte è uno studio sul campo della scultura di diversi periodi storici in cui è presente la rappresentazione del corpo. La seconda è uno studio del movimento, che consiste nell’appropriarsi del movimento trovato nelle sculture precedentemente selezionate, per poi riprodurlo nel corpo e ripeterlo sotto forma di esercizi per immagazzinarlo nella memoria muscolare. Con questa metodologia voglio incorporare il movimento, le posture e, quindi, gli atteggiamenti rappresentati e fissati scultoreamente in altri contesti. Infine, la terza parte consiste in un processo di sperimentazione con materiali organici in cui fissare questi movimenti trovati nelle sculture. Mi interessano materiali come il grasso, il carbone, la paglia o il pane per la loro capacità di immagazzinare e trasformare energia. In questo modo, la scultura cessa di essere un oggetto con un inizio e una fine e diventa uno stato di un processo più ampio che si estende nel tempo e dipende dalle caratteristiche ambientali del contesto in cui si trova.

Nel corso delle mie ricerche in Italia, mi sono concentrata soprattutto sulla scultura dell’antichità (greca e romana) e dell’età moderna (Rinascimento e Barocco), sebbene abbia esplorato, in misura minore, anche la scultura medievale. In tutti questi periodi, la rappresentazione del corpo è stata importante.

Finora ho osservato come la pratica della copia, dell’imitazione e della ripetizione attraversino tutti questi contesti storici in modo non lineare. Pertanto, nel realizzare questo gruppo di tre sculture, ho continuato a utilizzare queste tecniche come metodo di lavoro, ma senza cercare una rappresentazione diretta ma, piuttosto, esplorando la ripetizione, l’imitazione e la copia come processi creativi indipendenti dalla rappresentazione figurativa. Vale a dire che, per dare forma a queste sculture, sono partita da una selezione di sculture trovate in Italia, mi sono messa al loro posto e ho imitato il comportamento del corpo che rappresentano. L’imitazione mi aiuta a capire il loro comportamento e a ottenere un ritorno. Io agisco come la scultura per dare forma a un’altra scultura, e in un certo senso anche lei dà forma a me. Portando le caratteristiche del corpo rappresentato nel mio corpo, esse si caricano della mia esperienza. Il processo è circolare, perché nelle loro possibilità trovo le mie.

La sabbia è il materiale che utilizzo maggiormente nel mio processo di lavoro. La uso per registrare il movimento del corpo, che in questo caso a volte è il mio, altre volte quello delle mie compagne di residenza. Una volta registrato il movimento, posso solidificarlo con altri materiali. In questo caso, ho usato il grasso vegetale di cocco come agglutinante per la sabbia, generando una malta, ma di grasso invece che di cemento. In questo modo, il grasso diventa un elemento strutturale delle sculture e mi permette di farle e disfarle quando ne ho bisogno, semplicemente modificando la temperatura dell’ambiente.

A Roma fa molto caldo in questi giorni, quindi presento queste tre opere accompagnate da ventilatori che mantengono stabile la temperatura della stanza e permettono loro di rimanere intatte per tutta la durata di questa mostra. In caso contrario, potrebbero sciogliersi nel momento più insperato.

 

 SU MÒNICA PLANES 


monica Planes

Mònica Planes (Barcellona, 1992) ha conseguito un Master in Produzione e Ricerca Artistica (2016) e si è laureata in Belle Arti presso l’Università di Barcellona (2014). Ha presentato il suo lavoro individualmente alla Fundación Suñol (2017), insieme ad Alejandro Palacín alla Fundación Arranz-Bravo (L’Hospitalet de Llobregat, 2018), al Centro Cívico Can Felipa (Barcellona, 2020), alla galleria àngels barcelona (Barcellona, 2021, Art Nou 2017), con Pipistrello (Baix Empordà, 2021) e alla Gelateria Sogni di Ghiaccio di Bologna (Bologna, 2022). Negli ultimi anni ha ricevuto borse di studio dalla Fondazione Felícia Fuster (2016), Han Nefkens – Posgraduados UB (2016), Fundación Guasch Coranty (2017), Ayudas Injuve para la Creación Joven (2018-2019) e Barcelona Crea 2021 (2022). Ha inoltre ricevuto il Premio Art Jove de la Sala d’Art Jove (2018), è stata selezionata per il III Premio Cervezas Alhambra (ARCO, 2019), per il Premio Miquel Casablancas (2020) o per la Biennal d’Art Ciutat d’Amposta BIAM (2020, 2018) e al Premio Generación 2023 di La Casa Encendida. Le ultime mostre collettive di cui ha fatto parte sono “Lo que pesa una cabeza” al TEA di Tenerife, “Remedios. Donde podría crecer una nueva tierra” prodotta da TBA21 al C3A di Cordoba e “Turno de réplica. Cuestión de piel” al Museo Patio Herreriano di Valladolid. Nel settembre del 2023 ha svolto una residenza presso lo spazio di ricerca Bulegoa z/b di Bilbao e, attualmente, è residente dell’Academia de España en Roma, Italia. Ha infine partecipato a diversi progetti educativi come Creadores En Residencia (2019) o “Fuera de reservas”.

 

RUBÉN OJEDA GUZMÁN – Processi 151

RUBÉN OJEDA GUZMÁN, LA MACCHINA DEL FUMO


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 | MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

SCHEDA TECNICA

La macchina del fumo

Rubén Ojeda Guzmán

2024

 

Macchina del fumo (o fumigatore)
Legno, metallo, oggetti trovati, luce led e argilla
Dimensioni variabili
2024

Universal Declaration of Human Rights
Fumo su carta
150 x 10.000 cm (1 di 4 rotoli)
2023-2024

I fumigati (serie da 16)
Fumo su carta patinata
30 x 25 cm

Non plus ultra
Strisce led e metallo
220 x 100 cm
2024

Autoritratto ai 33 (retro)

Fumo su carta

275 x 140 cm

2024

Autoritratto ai 33 (come la discesa di Prometeo)

Fumo su carta
190 x 140 cm
2024

Scudo imperiale

Frottage su carta
100 x 70 cm
2024

Topo

Argilla
5 x 8 x 15 cm
2024

 

LA MACCHINA DEL FUMO, IL PROGETTO

La proposta per la mostra Processi ruota attorno al processo produttivo stesso dell’artista. La maggior parte delle opere che ho realizzato durante la residenza le ho fatte su un dispositivo centrale, chiamato macchina del fumo o fumigatore, composto da “oggetti trovati”: una scala, una cornice abbandonata, tre cavalletti e poco altro. È stato questo marchingegno a permettermi di scrivere la Dichiarazione dei Diritti Umani con il fumo, fare delle cortine fumogene e di stampare corpi su carta fumé.

Il progetto è nato dal mito di Prometeo che, oltre a essere una metafora della natura tecnica degli esseri umani, è la tragica allegoria dello scultore-artefice della nostra specie. Poiché Prometeo è eternamente punito per aver dato il fuoco agli esseri umani, ho trovato più congruente concentrarmi sul fumo che sul bagliore stesso.

Il fumo come materiale è una sostanza che, dal mio punto di vista, manifesta adeguatamente lo spirito del nostro tempo: in un contesto che ci rende testimoni della crisi ambientale, della catastrofe dei diritti umani, dei crimini di guerra, della militarizzazione su scala mondiale e della precarizzazione della vita, ben poche certezze ci sono nelle nuvole di fumo.

 

PORCA MISERIA, ALONSO GIL Y RUBÉN OJEDA GUZMÁN

Porca Miseria è il titolo di una mostra concepita per essere presentata presso la norcineria Iacozzilli a Trastevere, nei pressi della piazza di San Cosimato. Le opere realizzate erano state pensate per essere circondate da prosciutto, salsicce, polpette, guanciale e, soprattutto, porchetta. Tuttavia, avendo sfidato le autorità italiane, la mostra non ha mai avuto luogo.

Porca Miseria è un’espressione colloquiale di stupore, rabbia, fastidio o delusione. È un modo molto italiano di maledire la sfortuna che si usa quando qualcosa va storto e denota frustrazione o disagio. D’altra parte, per noi era evocativo anche l’elemento del porco e della carne, in quanto temi ricorrenti nel nostro lavoro.

Grazie ai nostri interessi comuni e alla vicinanza dei nostri argomenti artistici, abbiamo instaurato una dinamica di produzione collaborativa che, nella maggior parte dei casi, ha dissolto l’autorialità. Dopo aver messo in piedi una sorta di laboratorio di argilla, luci, assemblaggio di oggetti trovati e readymade rimaneggiati, sono cominciate a fiorire opere che strizzavano l’occhio al selvaggio, al cannibalismo, al caso truccato, il tutto avvolto nel fumo nero emanato dalle nostre teste.

I pezzi ora esposti a Processi 151 sono diventati documenti di ciò che è diventata una voce inespressa di una grande mostra.

 

 SU RUBÉN OJEDA GUZMÁN


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Rubén Ojeda Guzmán (Oaxaca, Messico, 1991) è un artista concettuale che utilizza diversi media come l’installazione, il disegno e la scrittura. Al centro del suo lavoro c’è l’idea dell’arte come campo di battaglia verso un’iscrizione storica. Attraverso il suo lavoro, ha costruito una visualità a partire dalla cultura della scarsità, del debito e della diaspora.

Ha conseguito un Master in Storia dell’Arte Contemporanea e Cultura Visiva presso il Museo Reina Sofía nel 2022 e si è laureato con lode in Belle Arti presso l’Universidad de las Américas, Puebla (UDLAP) nel 2014.

È stato artista in residenza presso la Fundación Silos nel 2023 e presso Air-Montreux in Svizzera nel 2020. Ha ricevuto una menzione d’onore nel Programa Acelerador de Artistas Latinoamericanos del Boom Art Community (Spagna, 2023), la borsa di studio Jóvenes Creadores del FONCA (Messico 2014-2015), il premio IMACP del Salón de Arte Universitario IMACP (2015) e uno dei premi Sala Joven del Museo de los Pintores Oaxaqueños (2012).

Ha tenuto mostre personali in Messico, Svizzera e Spagna e le sue opere sono state esposte collettivamente in Svezia, Brasile, Norvegia, Stati Uniti e Inghilterra. Alcune delle sue opere sono presenti nelle collezioni di DiGoodCollection (Spagna), Air-Montreux (Svizzera), Museo de la Cancillería e Toledo-INBA (Messico), oltre ad altre collezioni private in Europa e Messico.

Web: https://www.rubenojedaguzman.com/
Instagram: @rubenojedaguzman

CARMEN NOHEDA – Processi 151

CARMEN NOHEDA

L’ACCADEMIA DI SPAGNA IN ASCOLTO: ARTE SONORA RISONANTE


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 |  MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

SCHEDA TECNICA

UN SOLO ISTANTE I PALPITI

Carmen Noheda

2024

Rame, monitor fetale, cavi d’acciaio, suono

Carmen Noheda in collaborazione con Óscar Escudero

L’installazione sonora Un solo istante i palpiti abbraccia l’esperienza sonora di un palpito impossibile. La sua memoria corporea sorvola L’elisir d’amore (1832) di Gaetano Donizetti e Palpiti (1984) di Juan Hidalgo, il quale godette degli eterni tanka giapponesi durante la sua permanenza a Roma.

 

L’ACCADEMIA DI SPAGNA IN ASCOLTO: ARTE SONORA RISONANTE, IL PROGETTO 

La Real Academia de España en Roma, con un tratto di vita, attivò l’ascolto dell’arte sonora spagnola nell’edizione 1993 del RomaEuropa Festival. Quel 6 luglio venne presentata in anteprima A-Roving di Eduardo Polonio, una guida di viaggio che, a mo’ di glossa, si muoveva attraverso la poesia di Lord Byron: “So We’ll Go No More a Roving”. Questo “non andremo più da una parte all’altra” è una storia raccontata in spagnolo sull’architettura di Roma. Il grand tour nei nuovi scenari dell’arte elettronica fu la proposta che i curatori Nicola Sani e Colette Veaute lanciarono insieme a una richiesta: immaginare suoni per uno spazio scenico inedito, il chiostro dell’Academia de España en Roma. Altrettanto impossibili sono le architetture immaginarie a cui invita Italo Calvino in Le città invisibili. Con lo stesso titolo, l’arte sonora spagnola riunì nel chiostro dell’Accademia coloro che avevano iniziato l’esplorazione dei nuovi ascolti dal programma Ars Sonora della Radio Nacional de España: José Iges e Concha Jerez, Llorenç Barber, Isidoro Valcárcel Medina, Francisco Felipe, Emiliano del Cerro, Pedro Elías, José Luis Carles e Luc Ferrari. Nel 1994, la citazione di Calvino, essenza delle Città invisibili, si concretizzò nel progetto discografico Ríos invisibles, con l’intento di “far durare e dare spazio al suono”. Nel 1994, l’Academia de España en Roma funse da palcoscenico per la sua presentazione con le performance radiofoniche Ta te ti to tu di Esther Ferrer, Earth Gods di Emiliano del Cerro o La ciudad de agua, di José Iges e Concha Jerez, opera sonora ospite del Sound Corner 72, diretto da Anna Cestelli all’Auditorium Parco della Musica. A distanza di trent’anni, il progetto curatoriale L’Accademia di Spagna in ascolto recupera la memoria dell’arte sonora spagnola all’interno e a partire dall’Academia de España en Roma e i suoi legami creativi italo-spagnoli, “da una parte all’altra”, ancora risonanti.

 

SU CARMEN NOHEDA


Carmen noheda

Carmen Noheda è una ricercatrice post-dottorato Margarita Salas presso il Centre for Research in Opera and Music Theatre (University of Sussex). Nel 2021 ha difeso la sua tesi di dottorato sull’opera spagnola contemporanea presso la Universidad Complutense di Madrid, vincendo il premio straordinario di dottorato.

Ha una laurea in storia e scienze della musica (UCM) e un diploma di perfezionamento in clarinetto conseguiti presso il Real Conservatorio Superior de Música de Madrid, con premi straordinari per entrambi. Tra il 2015 e il 2019 ha usufruito di un contratto di pre-dottorato per la formazione universitaria dei docenti presso il Dipartimento di Musicologia dell’UCM ed è stata ricercatrice in visita presso Seoul National University, University of California Los Angeles e Universidade Federal do Rio de Janeiro. Ha lavorato nell’archivio musicale del compositore Luis de Pablo (ICCMU-SGAE) e sta sviluppando il progetto “Mujeres y liderazgo musical: Redes artísticas, desafíos y alianzas feministas por la igualdad de género” dell’Instituto de las mujeres..

Attualmente è ricercatrice post-dottorato Juan de la Cierva presso l’ICCMU e collabora regolarmente con Teatro Real, Teatro de la Zarzuela, OCNE, CNDM, Fundación Juan March, ORCAM, OEX o Radio clásica de RNE. La sua linea di ricerca si concentra sulla creazione musicale contemporanea in Spagna.

Twitter: https://twitter.com/carmennoheda
Instagram: @carmennoheda

BELENISH MORENO-GIL – Processi 151

BELENISH MORENO-GIL, IL CATALOGO È QUESTO


REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA

PROCESSI 151 | MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024

20 giugno 2024

 

IL CATALOGO È QUESTO, IL PROGETTO 

Il progetto Il catalogo è questo prende il nome dalla celebre aria dell’opera Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, in cui Leporello fa un inventario e descrive le amanti del suo padrone. Questa proposta si articola come un dittico:

  • Il ciclo di canzoni intitolato The day Fanny Mendelssohn died, per soprano, pianoforte, tastiera, sensori, video ed elettronica, attinge alla tradizione del lied romantico, la cui formazione, come musica da salotto, costituiva il soffitto di cristallo che molti interpreti e compositori dovevano affrontare. Ogni brano è una microstoria su una donna diversa, anche se tre dei dieci brani del ciclo sono dedicati alla compositrice Fanny Mendelssohn.

 

Fanny Mendelssohn è considerata il paradigma della donna all’ombra di un uomo, nel suo caso, il fratello Felix. Il padre le negò la possibilità di far diventare la composizione la sua occupazione principale. La sua musica venne ascoltata tra le pareti del salotto di casa e soltanto da una ristretta cerchia di amici. Fu quando arrivò a Roma, invitata dal direttore dell’Accademia di Francia, che prese per la prima volta in considerazione di pubblicare le sue opere.

The day Fanny Mendelssohn died è stata presentata in anteprima a Roma il 10 maggio nella stessa sala in cui si trova questa installazione. Le interpreti sono state Magdalena Cerezo e Johanna Vargas.

 

  • Con la Tiktopera (I), invece, l’obiettivo è stato quello di portare sul social network le storie sviluppate nel ciclo di canzoni. Durante la residenza è stato realizzato un processo di ricerca per identificare gli elementi formali, scenici e musicali più rilevanti di TikTok. L’idea era quella di creare un corpus di come si opera su TikTok per poter successivamente utilizzare questo linguaggio nella creazione di una serie di piccoli brani.

Lo scorso 4 giugno si è tenuto un evento con l’etnomusicologo Juan Bermudez, specialista di TikTok e dottorando all’Università di Vienna, e il beatboxer Ervinho. Si è trattato di un incontro in cui sono state approfondite le difficoltà e le sfide della ricerca artistica in questo campo.

Sul tablet sopra il pianoforte è possibile vedere il primo video della serie. Per maggiori informazioni: TikTok @belenishmoreno_gil

 

https://youtu.be/8DnzSi2Wn6c

https://youtube.com/shorts/C4ssny0v7XM 

 

 SU BELENISH MORENO-GIL


Belen Moreno

Belenish Moreno-Gil (1993) è una post-compositrice, performer e musicologa. Dal 2018 la sua carriera artistica ruota attorno alla creazione di teatro musicale contemporaneo e alla drammaturgia musicale. Le sue opere sono state rappresentate al Münchener Biennale für Musiktheater, Kontakte Festival (Berlino), ZKM di Karlsruhe, Transit Festival (Lovanio), Landestheater di Linz o RainyDays del Lussemburgo. Nel 2021 il suo lavoro “Subnormal Europe” è stato premiato con una menzione d’onore al Prix Ars Electrónica, il più prestigioso premio al mondo nel campo dell’arte digitale. Attualmente è direttrice artistica di CLAMMY, studio e compagnia di teatro musicale contemporaneo, insieme a Óscar Escudero.

Alla carriera artistica affianca anche la ricerca come membro del gruppo “Música popular urbana y feminismos en España: estrategias, conflictos y retos de las mujeres en las prácticas musicales contemporáneas (2000-2023)”.

Instagram: @belenishmoreno_gil
Facebook: Belenish Moreno-Gil
TikTok: @belenishmoreno_gil

Web: https://www.belenishmorenogil.com/
Web: https://www.clammymusictheater.com

 

The day Fanny Mendelssohn died  IMG_5418