APERTURA DEL GIARDINO ROMANTICO – MAGGIO 2024
TUTTI I FINE SETTIMANA E GIORNI FESTIVI Read more
INSTALLAZIONE NEL TEMPIETTO DI BRAMANTE | ON VIEW
CONCERTO ALL’ACCADEMIA | 10.05.2024 ALLE 20.00 H Read more
INCONTRO ALL’ACCADEMIA | 14.04.2024 ALLE 17:30H Read more
INSTALLAZIONE SONORA | FINO AL 30.04.2024
Read more
REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA
20 giugno 2024
“Sono sfuggita dalle rovine dell’antichità recuperate dai fascisti. Roma era una città bloccata, il fascismo era lì” (Lina Bo Bardi, Curriculum letterario).
“Mi sono spaventata di essere nata donna. Poi ho cercato di aggiustarmi” (Lina Bo Bardi, apuntes)
Il progetto approfondisce la formazione dell’architetta Lina Bo Bardi, romana di Prati del Castello, nel contesto fascista, sessista e autoritario della sua giovinezza che, proprio come il fatto stesso di essere nata donna in tale contesto, le incuteva terrore. Il periodo dell’infanzia e della formazione lasciò segni profondi nell’architetta, nella sua esperienza di vita e nel suo lavoro successivo.
Lina Bo Bardi, Da Roma a Bahia indaga la formazione e le esperienze dell’architetta romana e le mette in relazione con le opere da lei realizzate nello stato di Bahia, in Brasile, sua “patria d’elezione”.
Lina Bo Bardi è una delle architette più note a livello internazionale del XX secolo. La sua traiettoria verso l’opera costruita in Brasile affonda le radici nella sua esperienza giovanile e nella sua formazione professionale a Roma, durante il ventennio fascista. In quegli anni, la città era il teatro non solo di grandi trasformazioni urbane ma anche della contesa ideologica tra le dinamiche di appropriazione e asservimento alle logiche del regime, che si estendevano ad ogni ambito storico e culturale, e alternative offerte dal movimento moderno.
Il video documentale “La mia Roma. In viaggio con Lina Bo Bardi” ripercorre, come in un sogno, il modo in cui l’architettrice, a quell’epoca ancora Lina Bo, si muoveva nella Roma della sua formazione e della sua giovinezza.
Il libro Lina Bo Bardi, da Roma a Bahia indaga su questa esperienza e formazione di Lina Bo Bardi a Roma verso l’opera costruita in Brasile
Le due convegni promosse dalla borsista presso l’Accademia in 2024, con dialoghi sulla formazione di Lina Bo Bardi a Roma verso l’opera costruita in Brasile sono stati una parte fondamentale delle attività del progetto.
In questo scenario, gli studiosi invitati sono stati chiamati a ricostruire il contesto in cui Lina Bo si è formata e l’origine dei temi che ha sviluppato durante la sua carriera, come la formazione nella Scuola di Architettura romana, la tutela e la trasformazione della città, l’architettura razionalista e la collettività, la rete di relazioni familiari, il rapporto tra Roma e Milano, il discorso patriarcale nella professione.
Il progetto si è avvalso di collaborazioni imprescindibili come quella di Ernesta Caviola, Fabio Colonnese, Renato Anelli, Sarah Catalano, Hugo Martín Tarruell, Gloriana Giammartino, Massimo Franchi, Ana Paula Farah, Claudio Varagnoli, Tiziana di Folco, Gemma Modolell, Eva Álvarez, Carlos Gómez, Claudia Mattogno, Simona Gabrielli, famiglia Torres Palanti, Tommaso Brasiliano, Caterina Borelli, Rocco Sciaraffa, Pedro Cembranos, Istituto Cine-TV Roberto Rossellini, Associazione Architettrici, Ordine degli Architetti di Roma, Facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma, Fondazione Bruno Zevi, Accademia di Belle Arti di Roma y MoroRoma.
Architetta e urbanista, dottoressa di ricerca presso l’Universitat Politècnica de Catalunya, con post-dottorato in urbanistica partecipativa presso l’Universidade Federal da Bahia, Programma nazionale di post-dottorato Capes Brasil, Master Architettura: Critica e Progetto presso l’Universitat Politècnica de Catalunya. Ha conseguito la laurea in Architettura e Urbanistica presso l’Universidade Federal da Bahia con studi Intercampus/AL.E. Programma América Latina-España presso l’Universidad Politécnica de Madrid. È ricercatrice, insegnante e professionista nella pratica e nella progettazione di città inclusive con una prospettiva di genere.
Insegna al Master in Ciudad y Urbanismo della Universitat Oberta de Catalunya e alla Escola Elisava de Disseny di Barcellona. Ha collaborato e tenuto conferenze presso università di diversi paesi, come la AA School of London, Yale University, Academy of Fine Arts Vienna. I suoi principali temi di ricerca sono la teoria, la storia e il progetto di architettura, nonché la trasformazione delle preesistenze urbane; attualmente sta sviluppando una ricerca incentrata sul genere e la collettività in architettura (Universitat Politècnica de València e Universitat de Girona). Le sue ricerche sull’architetta Lina Bo Bardi sono sempre più diffuse, come il libro Mirar, cuidar y regenerar: Lina Bo Bardi en Bahia (Col·legid’Arquitectes de València, con Eva Alvarez, Carlos Gomez e Leonardo Finotti), articoli su riviste come The Journal of Architecture, mostre come Lina Bo Bardi en Bahia (Col·legid’Arquitectes de Catalunya) e Centenario de Lina Bo Bardi (Museu de Arte Moderna da Bahia).
REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA
20 giugno 2024
[ROMA O MORTE], IL progetto
Joseph Kosuth crea One and Three Chairs nel 1965, la ricerca della “sedia” attraverso tre diversi registri. Il museo che ospita l’opera dice nel suo catalogo che l’artista “ci invita a decifrare le frasi subliminali con le quali articoliamo la nostra esperienza dell’arte”.
Non sono un’artista: sono una scrittrice alla ricerca di una letteratura per non lettrici, una scrittrice figlia di contadine illetterate di tradizione orale. Analfabete, ci chiamavano. Nel mio villaggio, Chandrexa de Queixa, il signor Alfredo che ha quasi cent’anni è preoccupato perché la banca non gli permette più di firmare con l’impronta del pollice. Dice che, da quando sono arrivate le scartoffie, l’essere umano ha smesso di avere parola. Che, prima delle firme e dei contratti, le parole non erano qualcosa che poteva essere spazzato via dal vento, che il nominare era materializzare. Eravamo persone di parola, dice.
Non conosco Joseph Kosuth: ma parlando con Ixone Sádaba, un giorno mentre pranziamo in giardino, un giorno qualsiasi, in cui le racconto della mostra e della mia angosciosa ricerca della forma, lei mi fa questo nome.
“L’arte che chiamo concettuale”, dice Kosuth, “è tale perché si basa su un’interrogazione sulla natura dell’arte”.
La mia interrogazione è sulla natura della Storia, del racconto della storia. Che cosa fa sì che una storia sia Storia, che cosa fa sì che una memoria perduri come memoria, al di là dell’aneddoto, della battuta, della nota a piè di pagina, dell’eccezione, della stranezza. Qual è la materia che separa la rovina dalle macerie. Il monumento dall’oblio.
Da cinque mesi vivo in compagnia della frase Roma o morte; davanti alle mie finestre, iscritta sull’Ossario Garibaldino, un monumento ai morti che dice di tenerne viva la memoria. Quanto può essere viva una memoria della morte che non includa le vite in essa? Quanto può essere viva la memoria fissata sul monumento, immortalata?
Marc Augé dice che ci sono luoghi che non sono neanche questo, neanche meri luoghi, perché non hanno storia monumentale, identità o legami relazionali. Marc capisce solo Roma o la morte.
Da anni cerco la genealogia della diaspora contadina dell’Europa del Sud, quell’Europa che si pensa urbana e industriale e che, da lì, impone il suo mondo senza futuro al resto. Da anni cerco una nostra genealogia che non passi attraverso le logiche imperiali, attraverso il racconto scolastico, attraverso il museo, attraverso i film che ritraggono un mondo arretrato, violento, retrogrado, sporco e vergognoso che dicono essere stato la nostra campagna prima dell’agricoltura, prima del capitale, prima del progresso; racconti che non sorvolino sui nostri legami diasporici, i nostri pacchi da giù, i nostri ritorni d’estate nei paesi d’origine, in arrivi che sentono come ritorni a una casa perduta; vado alla ricerca di identità che non trascurino la nostra identità bastarda, deforme, effimera, attraversata dal divenire.
La mia domanda è come fare una storia che non desideri avere un monumento, che appartenga a qualcos’altro, a un altro mondo, ad altre ontologie. E che non menta nemmeno su chi sono io: oralità, memoria del corpo e la letteratura che, tante volte, mi ha anche salvato la vita.
Scrittrice, drammaturga e ricercatrice, titolare della cattedra Mercè Rodoreda di Studi Catalani presso l’Università di New York (CUNY), docente del Master in Genere e Comunicazione presso la UAB e ideatrice del 1° Festival della Cultura Txarnega a Barcellona.
Senza studi universitari, è figlia di contadini di Chandrexa de Queixa esiliati dalla loro terra ed emigrati. Il suo lavoro ruota attorno ai meccanismi di costruzione dell’alterità, con particolare interesse per la differenza sessuale e la scomparsa delle epistemologie contadine.
Come drammaturga, ha presentato Naxos, dramma in tre lamenti e un paio di atti, diretto da Gena Baamonde e appartenente alla prima fase della Trilogia di Naxos, e Un cos (possible) i lesbià, sull’opera di Monique Wittig, co-diretto insieme all’artista visiva Alba G. Corral. La sua produzione letteraria comprende romanzi come PornoBurka, saggi come Pensamiento Monógamo, Terror Poliamoroso o Lenguaje inclusivo y exclusión de clase, e poesie narrative come Tríptico del silencio, pubblicate contemporaneamente in tre diverse versioni nelle sue tre lingue madri.
Web: https://www.brigittevasallo.com/
Instagram: @la_vasallo