Montse Lasunción – Italiano

Introduzione
MONTSERRAT LASUNCIÓN

Nel XIX secolo prendono corpo i principali musei con intento educativo che perseguono l’ideale di una società “culturalizzata”. È il momento della comparsa e del perfezionamento di alcune scienze e discipline. Questo darà luogo alla creazione di musei di ogni genere, come quelli di storia naturale, archeologia o quelli delle riproduzioni artistiche, nei quali si espongono copie in gesso di monumenti e sculture di tutto il mondo.

Con lo stesso spirito, le università creeranno gallerie e musei e affioreranno le scuole d’arte e mestieri, in cui gli studenti avranno accesso a ogni genere di riproduzioni, indispensabili per la loro formazione. Musei e istituti educativi saranno strettamente legati, un caso emblematico è il Museo South Kensington, futuro V&A Museum, e la Scuola di Arti Decorative di Londra.

I fenomeni derivati dall’industrializzazione influenzeranno e trasformeranno il mondo dell’arte, del design e, in definitiva, della cultura.

Sarà l’epoca delle Esposizioni Universali, luoghi ideali per mostrare i progressi tecnologici dovuti all’industrializzazione e per far conoscere l’ingegno e il talento artistico di ogni nazione.

Contemporaneamente, ci sono grandi campagne archeologiche e scientifiche fuori dall’Europa. Archeologi ed esploratori si affannano per riportare nella loro vecchia patria pezzetti di storia, arte e natura da Asia, Africa e America Latina, prendendo l’impronta dei loro tesori.

I musei tracceranno i loro discorsi con originali e riproduzioni. Replica e originale avranno un valore simile e si compendierà arte di tutte le epoche e stili.

Si esporranno grandi formati scultorei e frammenti di monumenti, scala 1:1, di timpani, colonnati, capitelli, fregi, templi induisti, buddisti, precolombiani.

È frequente riprodurre le policromie originali, ricavando repliche che ricreano il loro aspetto originale e, in alcuni casi, si punta ad avvicinare lo spettatore non soltanto al monumento ma al contesto originale, cercando di emulare il rapporto spaziale dello spettatore con il monumento originale.

 

Roma: dalla pietra al gesso

In particolar modo nel XVIII secolo, con l’auge del Grand Tour, Roma fu meta di viaggiatori europei interessati all’arte e all’archeologia e, ovviamente, di artisti, che trascorrevano un periodo nella città, tappa fondamentale nella loro formazione.

Con il fine di collezionare e studiare l’arte classica, era frequente commissionare a formatori romani la realizzazione di calchi in gesso di frammenti architettonici o sculture. Impronte della città trasformate in gesso erano spedite altrove, frammenti di Roma si spargevano in tutta Europa.

Un caso illuminante è quello dell’architetto britannico George Dance the Younger (1741-1825), che durante la formazione a Roma ne studiava l’architettura, misurando e disegnando alcuni monumenti. In una lettera del 1760 scrive al padre quanto segue:


“(…) dopo aver misurato l’Arco di Costantino, di cui mi sto occupando in questo momento, comincerò con la Cupola di San Pietro, i cui risultati ti invierò non appena avrò terminato (…) Realizzerò anche calchi di fregi antichi, disegni e incisioni, che mi serviranno per tutta la vita, oggetti con cui si può formare una buona collezione a Roma, essendo più economici che in qualunque altro posto”.

Dall’articolo di Sophie Descat, “Nouveaux programmes d’architecture. Le rôle du Grand Tour dans l’élavoration des premiers musées européens” in El Arte español entre Roma y París (siglos XVIII y XIX), pubblicato da Luis Sazatornil e Frédéric Jiméno, Casa de Velázquez, Madrid, 2014. 

 

Nel XIX secolo, con la creazione dei musei pubblici, scuole d’arte ed esposizioni universali, si intensificherà la richiesta di calchi.

Con la prima esposizione celebrata nel Crystal Palace di Londra nel 1851, in cui si espongono calchi di opere di tutto il mondo, questa tendenza andrà ad aumentare.

Dopo l’esposizione, si creò una commissione per adornare e conservare il palazzo di cristallo. Intendevano decorarlo con oggetti artistici, in particolar modo riproduzioni in gesso. A tale scopo, la suddetta commissione contatterà diversi musei europei per proporre uno scambio di calchi.

Una richiesta della diplomazia di Prussia, nel 1852, un anno dopo la Great Exhibition, testimonia l’intenzione del Museo di Berlino di voler entrare in questa rete di scambi e a tale scopo richiede al Ministro di Commercio e Belle Arti dello Stato Pontificio di poter fare il calco di alcuni monumenti e sculture.

Anni dopo, nell’Esposizione Universale di Parigi del 1867, si firma un accordo tra diversi rappresentanti europei che mira a istituzionalizzare questi scambi di riproduzioni.

In questo contesto, i formatori romani lavoreranno intensamente in città: Malpieri, Torrenti, Giacomini, Ceci, sono alcuni di questi artigiani che lavorano su commissione o per propria iniziativa, commercializzando le copie nei loro laboratori e rifornendo scuole di arte, musei, accademie e collezionisti.

Richiesta e regolamentazione dei processi di calco

Dato che queste pratiche si moltiplicano nel corso del XIX secolo, c’è una preoccupazione crescente per mantenere in buono stato di conservazione i monumenti oggetto di calco. Suddette operazioni potevano lasciare segni e causare danni irreversibili.

Gli interessati dovevano adeguarsi alle normative dettate dalle autorità che gestivano i beni.

Proprio come per disegnare o prendere le misure di un monumento, per realizzare un calco era necessario avere il permesso del Camerlengo, amministratore dei beni e delle entrate dello Stato Pontificio, al quale appartenne Roma fino al 1870.

Dovevano richiederlo tramite un’istanza, in alcune occasioni avallata e revisionata da un funzionario o da un membro della commissione che regolamentava queste operazioni.

Lo scultore Antonio Canova (1757-1822) fu nominato Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato Pontificio nel 1802. La sua firma appare in alcuni documenti in qualità di autorità responsabile, che accorda il permesso richiesto.

Un’altra delle personalità che appare in questi documenti è l’architetto Giuseppe Valadier (1762-1839), che fu membro responsabile della commissione incaricata di regolamentare queste pratiche. Oltre all’intensa attività come architetto, fu una figura importante nella formulazione delle teorie moderne di restauro, prima della comparsa del “restauro filologico” di Camillo Boito (1836-1914).

Valadier svolse restauri emblematici. Tra i molti interventi, si annoverano quelli sull’Arco di Tito (1819-1824) e quello del Colosseo (1823-1826) con una visione molto contemporanea, contribuendo, insieme a Raffaele Stern (1774-1820) allo sviluppo di impostazioni moderne di restauro, in cui si manifesta grande sensibilità e rispetto per la conservazione delle parti originali differenziandole dalle aggiunte moderne.

È significativo che un profilo come Giuseppe Valadier fosse uno degli architetti che aveva la responsabilità che queste operazioni si svolgessero con la dovuta accuratezza.

In queste istanze si ricavano informazioni sulle opere che furono oggetto di copia e delle volte che furono rimodellate, nonché su restrizioni e divieti che esistevano per evitare danneggiamenti. È rilevante il fatto che nella maggior parte dei casi, l’argilla, e non il gesso, sia il materiale concesso dalla commissione per la presa dell’impronta (“trarre forma in Creta” o “formare in calco di Creta”), tenendo conto che l’uso di gesso presupponeva l’applicazione di oli e saponi che lasciavano macchie irreversibili sulla pietra. A volte è inclusa anche l’espressione “a forma perduta”, vale a dire, si permette l’uso di stampi persi.

Sebbene l’argilla e gli stampi elaborati insieme ad essa fossero considerati i più adeguati, in alcune occasioni i permessi non vengono concessi perché considerano che il bene in questione si stia deteriorando. Nel 1833, la Commissione delle Antichità e Belle Arti chiede al Camerlengo il divieto di prendere la forma e costruire impalcature attorno alle colonne e al fregio del tempio di Castore e Polluce, “per le continue apposizioni di argilla, dalle quali estrarre il modello (…) essendoci già abbondanti copie fatte in gesso. A questo si aggiunge che il peso delle impalcature potrebbe squilibrare quelle tre colonne e quel fregio, che sembra un prodigio che si mantengano così salde”.

Tra alcuni dei monumenti più richiesti durante la prima metà del XIX secolo figurano la Colonna Traiana, quella di Marco Aurelio, alcuni obelischi, capitelli del Pantheon, elementi del Foro di Traiano, frammenti del battistero di San Giovanni in Laterano, dell’Arco di Tito, colonne e fregi di templi, come quello di Castore e Polluce, etc.

Sono abbondanti anche le richieste per fare i calchi di busti e sculture di diversi stili ospitati da alcune chiese, come il caso della richiesta di Costantino Borghese, che nel 1844 richiede di fare i calchi dei busti di San Pietro e San Paolo della chiesa di San Sebastiano alle Catacombe, in cui si puntualizza che “venga realizzata con stampo perso o con semplice stampo di argilla”. Archivio di Stato di Roma. Camerlengato (1816-1854). Parte II 1824-1854. Titolo IV-Antichità e Belle Arti. Busta 295, num. 3378_3).

Si sottolinea il tipo di stampo e il materiale da utilizzare, nonché la necessaria pulizia da svolgere una volta terminate le operazioni. Un esempio è la richiesta dell’architetto Giovanni Azzurri del 1830 per poter fare il calco di “alcuni frammenti di monumenti” del XIV secolo delle chiese di Santa Maria sopra Minerva e di Santa Maria del Popolo; tuttavia, di quest’ultima gli viene negato il permesso.

Manuali del XIX secolo. Tecniche, materiali e procedimenti

Esiste una serie di manuali che compendiano i procedimenti utilizzati nel XIX secolo per la realizzazione delle riproduzioni.

Molti di essi raccolgono procedimenti che si praticavano già nei secoli precedenti.

Nel XIX secolo, grazie all’industrializzazione e ai progressi della chimica, appaiono nuovi materiali, e si modificano alcuni processi. 

Questi trattati sono un compendio piuttosto concentrato dei diversi modi di riprodurre oggetti di pietra, terracotta, legno, cemento, metallo, anatomie, nature morte, etc.

Molti dei materiali usati per realizzare stampi possono essere utilizzati, a loro volta, per l’ottenimento del positivo o copia. Alcuni di essi sono: gesso, argilla, cera, carta, mollica di pane, colle di origine animale, etc. 

Si procedeva con stampi effimeri, vale a dire, monouso o di pochi usi, il cui positivo veniva realizzato in situ. Dovendo agire con accuratezza, non era praticabile la realizzazione di complicati stampi in gesso a tasselli.

Le copie erano inviate alle istituzioni o ai laboratori, e da quella prima copia si potevano realizzare altri stampi a tasselli, più elaborati e complessi, dai quali si potevano ottenere moltissime copie e i cui procedimenti sono ampiamente conosciuti.

Per ogni tipo di modello e circostanza, saranno opportuni determinati modi di procedere e materiali concreti. Nel caso di monumenti e grandi formati, bisogna partire da due premesse fondamentali:

La prima è che si tratta di patrimonio originale, e per questo non si può danneggiare il modello con incisioni, rotture o macchie irreversibili. Bisogna stare attenti a non lasciare resti di sostanze che possano interagire con la superficie, per esempio grassi e saponi, che non soltanto provocano cambiamenti estetici, ma possono anche provocare trasformazioni fisico-chimiche.

La seconda premessa è che il calco verrà realizzato in situ, senza le comodità del laboratorio, a volte su impalcature e con tempi ristretti.

Questi due aspetti condizioneranno i materiali e i procedimenti, che dovranno essere il meno aggressivi possibile.

Argilla

I manuali francesi sono quelli che danno più indicazioni sulla tecnica più adeguata per “monumenti pubblici”. Secondo Lebrun (Noveau manuel complete du Mouleur, Manuels-Roret, 1850) è il materiale più adeguato e la sua tecnica la più semplice, per una serie di motivi:

 

  • ha soltanto bisogno di argilla, dita e un “sacchetto di cenere”. Questa, come il talco, si spargeva sulla superficie del modello per evitare l’aderenza dell’argilla al modello.

Possono essere stampi di uno o più tasselli, ma sempre meno di quelli di uno stampo in gesso “perché un solo tassello di creta sostituisce diversi tasselli che ci si vedrebbe obbligati a realizzare utilizzando il gesso”. (Lebrun, 1850, p. 25).

 

  • Si applica molle e non si può rimuovere finché non acquisisce una certa rigidità.

 

  • Si produce una ritrazione quando perde umidità, il che facilita il suo ritiro “il gesso, che invece si gonfia, obbliga il formatore a realizzare un numero maggiore di tasselli . (Lebrun, 1850, 25).
  • “Tutto questo, che fa sì che lo stampaggio sia meno costoso di uno stampo in gesso, incoraggia gli artisti a preferire il primo quando hanno bisogno di riprodurre frammenti di monumenti pubblici”. (Lebrun, 1850, p. 25).

Al contrario, il gesso, ha bisogno di grassi e oli come agenti separatori, pertanto se ne consiglio l’uso soltanto quando il modello non è originale, e insiste sul fatto che queste sostanze potrebbero danneggiare superfici come il marmo. Vediamo cosa consiglia a proposito di questo supporto:

“Il formatore comincia il suo lavoro lavando il marmo con acqua molto carica di sapone. Esiste la cattiva abitudine di usare olio per tale effetto, ma produce sul marmo una macchia irreversibile che penetra sempre di più”. (Lebrun, 1850, p. 49).

Terminato il processo, consiglia di lavare l’originale con “una spugna imbevuta d’acqua pura e calda per rimuovere il sapone che, seccandosi, ingiallirebbe il marmo (Lebrun, 1850, p. 49).

 

Gelatina 

Dalla seconda metà del XIX secolo in poi l’utilizzo di gelatina su grandi formati fu più frequente e si migliorarono le formule, sostituendo l’olio di lino o la melassa, che si aggiungevano alla colla animale, con glicerina liquida. Nei manuali si trovano diverse ricette. Già in precedenza si utilizzava per realizzare stampi su nature morte, anatomie e opere delicate di piccolo formato, come cammei di avorio. Il suo grande vantaggio rispetto al gesso e all’argilla è l’elasticità, che permette l’elaborazione di stampi con pochi tasselli, facilitando la sformatura. Tuttavia, presuppone anche un processo complesso e ha bisogno, come l’argilla, di madriforme che contengano i pezzi dello stampo per evitare che si deformino. Le sostanze da applicare per evitare che la gelatina aderisca al modello possono compromettere anche le superfici di pietra, e pertanto gli stampi in gelatina non sono sempre adeguati. Proprio come il gesso e l’argilla, venne utilizzata per riprodurre opere di tutto il mondo.

 Mastice di cera e resina 

Servivano per zone delicate, in particolar modo in combinazione con il gesso, in concavità e anfratti in cui c’era il pericolo che il gesso rimanesse incastrato. Sono poco studiate e sembra che il loro uso fosse molto frequente. Si ottenevano mescolando cera d’api, resine e cariche di gesso, carbonato di calcio o polvere di mattone.

“Il mastice vi sarà utile per riempire i neri, da cui il gesso non si potrebbe estrarre. Indurito a metà, perderà consistenza, e non conserverà la forma della cavità in cui è stato introdotto: indurito, non facendo più pressione, si romperà. Il mastice è dunque indispensabile per sostituire il gesso in tutte le parti di difficile soluzione”. (Lebrun, 1850, p. 36).

 

Javier Verdugo – Español

Arqueología y poder. La tutela y conservación del patrimonio arqueológico de Roma desde la Unidad italiana al Dopo Guerra (1870-1945)
 JAVIER VERDUGO

El trabajo de investigación: Arqueología y poder. La tutela y conservación del patrimonio arqueológico de Roma desde la Unidad italiana al Dopo Guerra (1870-1945) es continuación de otro anterior: IMMENSA AETERNITAS. El interés por el pasado y la formación del conocimiento arqueológico desde la Antigüedad a la Edad Moderna, con especial referencia a Roma y al Estado Pontificio. En dicho trabajo procedimos a estudiar la evolución de la tutela del patrimonio de Roma desde 1162 a 1870 y las intervenciones tanto de la autoridad pontificia como de la administración francesa tras la ocupación de Roma por Napoleón quién usará como idea central, la idea de Roma como segunda capital del Imperio tras París. Incluso la Revolución francesa ya había utilizado la simbología de la Republica Romana, como acertadamente recogía Carlos Marx en el 18 Brumario de Luis Bonaparte. Pero es que en cierto sentido la idea de la renovatio imperii es una tradición que hunde sus raíces en Carlomagno, en el Sacro Imperio Romano germánico, y en el Papado que se considera heredero de la gloria de Roma, desde Silvestre y Constantino, sobre todo tras la vuelta de Avignon. La idea de Roma de los césares está ligada a los Papas que mantienen uno de los títulos de los emperadores:  Pontifex Maximus.

Con nuestro trabajo tratamos de continuar el estudio de los bienes arqueológicos de  Roma tras la creación del Estado italiano y la utilización por el fascismo de los restos del pasado con intencionalidad política.

En lo que respecta a la unificación tres cuestiones serán objeto de estudio. En primer lugar, los efectos que la capitalidad de Roma produce en su urbanismo, con el aumento de la población, la aparición de super explotación urbanística de Roma, la destrucción de algunas villas como la Ludovisi y la repercusión que todo ello supuso sobre el patrimonio histórico, en general y el arqueológico en particular. En segundo lugar, la transformación simbólica de Roma. El nuevo Estado quería enfatizar la diferencia entre la Roma pontificia y la Nueva Roma, para ello busca dos vías, la primera la realización de monumentos en honor de los romanos caídos entre 1848-1870, y la de otra serie de personajes como Garibaldi o Cavour y la segunda un gran monumento a Vittorio Emanuele II que culmina con la construcción del controvertido Vittoriano que será inaugurado en 1912 con ocasión de la Mostra de 1911 con la que se pretendió dar a conocer en un jubileo laico los progresos de la nueva nación en los últimos 50 años (1861-1911) de unión. En tercer lugar, la utilización del mito de la Roma civilizadora como argumento para la guerra italo-turca, con el objeto de conquistar Libia, a la que se consideraba por algunos una misión de la Nueva Italia. El hilo conductor es el derecho histórico de Italia, sucesora de Roma, sobre los territorios que a ella pertenecieron y que estaban en manos de pueblos “atrasados”, a los que tenía el deber de civilizar. Se exaltaba la conquista por todos los medios; periódicos, medallas, postales, discursos. En el transcurso de las operaciones militares los restos de la antigüedad que aparecían ante los soldados le eran familiares, lo que acentuaba los ideales de conquista.

En cuanto al fascismo se presta especial atención al uso propagandístico de la romanidad, que estaba ya presente en el nacionalismo risorgimentale y en la conquista de Libia, como hemos visto. En este sentido baste recordar la Roma y la Italia abrazadas en el monumento de Cavour en Roma. La diferencia será la utilización por el fascismo, como una razón de ser no histórica como en el primer nacionalismo sino como una idea vertebradora como una ideología del nuevo régimen, basada en el concepto elaborado por E. Gentile quien interpreta el fascismo como una “manifestación de la sacralización de la política” sometida a rituales, liturgias, símbolos, estilo, mística fuertemente evocadores y persuasivos. Situando entre esos mitos el de Roma, en la propaganda política del Ventennio. Se analizarán y valorarán las grandes iniciativas públicas basadas en el Plano Regulatore de 1932, y en las actuaciones llevadas a cabo desde el Governatorio de Roma,  sobre el patrimonio arqueológico de Roma con sus resultados y efectos. Especialmente la creación del Parco Archeologico della Via Appia o la apertura de las Vias de Impero o del Mare, la sistematización del Teatro Marcello, área de Largo Argentina, Campidoglio o las actuaciones en el Campo MarzioAra Pacis y Mausoleo de Augusto, sin descuidar las grandes exposiciones como la del Bimilenario de Augusto o la de los proyectos arquitectónicos cargados de romanidad como el Foro Itálico o el Anfiteatro Cuadrado del EUR o el nunca ejecutado: Palazzo Littorio, cerca del Coliseo.

También el uso de las Termas de Caracalla como espacio escénico entre otros. Fuera de Roma serán objeto de estudio: la recuperación de las naves romanas del lago Nemi y del anfiteatro de Lecce.

 

Ana Zamora – italiano

Tradizione popolare e messa in scena: le andate e i ritorni del teatro di figura

Se possiamo evincere qualcosa dallo studio delle manifestazioni teatrali, o parateatrali, generate nell’ambito della tradizione popolare, è che al di là di orgogli patri e messaggi apocalittici a proposito di identità nazionali, siamo sorprendentemente vicini gli uni agli altri. È difficile definire fino a dove arriva l’estensione di quell’enorme rete di influenze, di contaminazioni sceniche che ci accomunano nello spazio e nel tempo, ma sembra oggi indiscutibile che esiste una specie di unità di cultura tra i popoli europei.

Nel caso di paesi con legami storici e geografici così vicini come quelli che uniscono Italia e Spagna, le tradizioni si confondono. In queste nostre terre, le indefinite frontiere tra ritualità e teatralità sfumano in feste appassionanti, ancorate al ciclo delle stagioni che hanno segnato un tempo il divenire della vita quotidiana nelle società agrarie: Natale, Carnevale, Quaresima, Pasqua, Feste dell’Estate…

Ci troviamo in uno spazio privilegiato per avvicinarci alla teatralità più primitiva, quella che ci fa comprendere il senso dell’arte scenica come rito che invoca le forze della natura, ma che al tempo stesso si costituisce come imprescindibile spazio di incontro di una società con se stessa. Riti pagani e cristiani che si trasformano in manifestazione civica, sebbene ormai anche irrimediabilmente turistica, esponenti di un mondo perduto o forse sognato, che ci rimandano a un significato ancestrale dell’arte scenica.

E in questo panorama di fusioni e confusioni, nasce la marionetta come grande elemento magico, totemico, per essere la protagonista di un teatro non regolato da paradigmi realisti rigidi né preoccupato da anacronismi, come arte che accumula tutte le inverosimiglianze possibili.

Questo progetto propone un’immersione nella tradizione scenica italiana, attraverso riferimenti storici e documentali di diversa provenienza, dando particolare importanza al lavoro sul campo di carattere etnografico, per contestualizzare e comprendere l’importantissima sopravvivenza del genere del teatro di figura in questo paese. Una ricerca di carattere multidisciplinare, che porrà le basi per uno spettacolo di nuova creazione che ci permetta di recuperare il significato originale del teatro tradizionale come strumento drammatico che condensa il significato critico, satirico e popolare nel miglior senso del termine, di cui tanto ha bisogno la nostra scena contemporanea.

Entriamo nello studio di Ana Zamora, dove si mostrano diversi schemi e materiali di lavoro a partire dai quali, attualmente, sta sviluppando la fase documentale di un progetto che si plasmerà successivamente in un montaggio teatrale.

Progetto e biografia

Panxto Ramas – Español

Palimpsesto Basagliano: La Libertad como una de las Bellas Artes
Pantxo Ramas

En vísperas del cincuentenario de la llegada de Franco Basaglia al Hospital Psiquiátrico Provincial de Trieste (1971), momento central del movimiento italiano de crítica institucional y psiquiátrica que llevó al cierre de los manicomios en Italia después de la Ley 180 de 1978, este proyecto propone un mosaico de las prácticas artísticas protagonistas de la revolución basagliana, para interrogarlos a partir de las contradicciones y los desafíos de nuestro presente.

La práctica artística ha sido un elemento fundamental en procesos de liberación de las personas internadas en Trieste y en la afirmación de sus plenos derechos de ciudadanía. Hoy puede ser la herramienta para reanudar esta historia, útil no sólo como una memoria, sino como un catálogo de prácticas y estrategias para desafiar este presente, demasiadas veces presentado como tiempo inmutable.

El movimiento Basagliano, cuyo rasgo distintivo ha sido la invención de instituciones expresivas frente a cualquier institución total, representó un proceso fundamental de liberación en el siglo XX, que se inició con el desmantelamiento del manicomio y que sigue vivo en el desarrollo cotidiano de un modelo urbano de salud cuya importancia es reconocida a nivel mundial.

Más allá de la psiquiatría y la medicina, el modelo de Trieste representa un punto de referencia fundamental para las diferentes generaciones de la crítica institucional en el arte y la cultura y más generalmente en el Estado del Bienestar, ya que define a la institución como una trama social, histórica y material cuya incidencia no es sólo disciplinaria (médica, estética, asistencial, por ejemplo), sino inmediatamente política y sobre todo subjetiva. Una institución para desafiar y cambiar, cada día.

Para contar esta experiencia, atravesamos seis historias: el papel de la fotografía en la denuncia de las condiciones materiales de las instituciones totales; el rol del teatro público en producir una nueva relación con la ciudad, con Marco Cavallo; los experimentos entre el teatro y la locura de la Accademia della Follia; el laboratorio de artes visuales P como límite de invención urbana; el derecho a la belleza que afirmó la dignidad como epicentro de los cuidados; y las intervenciones artísticas en el Parque San Giovanni hoy en día, que despiertan la maravilla como herramienta para recordar cada día la violencia de las instituciones totales.

En nuestra puesta en escena, la lectura histórica, narrada verticalmente, se contrasta con las imágenes y las voces que han atravesado esta experiencia en términos concretos. Palimpsesto Basagliano es una realización de un colectivo de investigación en el que participan Lara Baracetti, Arturo Cannarozzo, Guillermo Giampietro, Naomi Piani, Francesca Giglione y Adam Zuliani, y coordinado por pantxo ramas.

 

Inventare istituzioni

Al internado no se les ofrece otra alternativa que la sumisión al médico y, por lo tanto, la condición de colonizado. Tiene que convertirse en un cuerpo institucionalizado, que es vivido y se vive como objeto. Hasta que se empiece a definirlo en las historias clínicas «bien adaptado al ambiente, colaborativo, ordenado en la persona»: entonces será definitivamente determinada su condición de sujeto pasivo que existe sólo como un número.

Esa es la carrera del enfermo mental en el manicomio. Frente a tal realidad o eres cómplice y aceptas conscientemente la delega de guardianes de prisioneros sin culpa; o tratas de volcar la situación mostrando lo fácil que es provocar la violencia de los enfermos, usando sistemas violentos.

Nunca se estará seguros de que los muros, las rejas y la violencia, una vez que hayan sido retirados de la institución psiquiátrica, no vuelvan a proponerse, reconfirmando la imposibilidad de una verdadera rehabilitación, que debe estar explícitamente ligado al otro polo de diálogo: la sociedad. Pero hasta que nuestro sistema social no se interese realmente a la recuperación de los excluidos, la rehabilitación del enfermo mental se limita a una acción humanitaria dentro de una institución que deja intacto el núcleo del problema.

En este contexto, los técnicos seguirán siendo los guardianes de la apariencia, sin afectar la sustancia de las cosas, forzados – como Jakob – a comprar una azalea cuando los cadáveres empiezen a apestar.

 

Oltre il giardino

«En el manicomio nunca hay una noche en la cual se actúe improvisando. Todos los actores de este extraño teatro tienen un lienzo fijo, «los cuadros vivos» de la locura, donde los roles y el guión son siempre los mismos. Las partes nunca cambian. Los cuadros vivos están paradójicamente connotados por una inmovilidad mortal. Bueno, este mismo teatro de la locura, la locura que se convierte en enfermedad mental, ha sido el campo de nuestra lucha. Lo que quiero decir es que, para nosotros, la locura es la vida, la tragedia, la tensión. Es algo serio» (Franco Basaglia).

En Trieste tuve la suerte de vivir un gran momento. Fue cuando Giuliano Scabia llegó a San Giovanni. En el primer pabellón vaciado, signo tangible del cambio en acto, se construye un caballo azul en madera y papel maché. Se llamará Marco Cavallo.

Marco es el nombre del caballo en carne y huesos que lleva el carro de la ropa sucia: está destinado al matadero. Internados, teatrantes, artistas, psiquiatras, enfermeros y personas de la ciudad crearon un comité para pedir a la administración provincial de salvarlo. Nace una acción teatral (¿teatro civil?). Será Marco Cavallo, el caballo azul, que lleva en su vientre las cartas y los deseos de los internados, el primer y primitivo escenario. Aquí actuará y se pondrá en juego el deseo despertado de las personas: el descubrimiento de la libertad, del sentir amoroso, de las palabras, de nuevas posibles identidades.

 

Singolarità molteplici

La Accademia de la Locura ya no habla de «teatro».

Hablamos de academia, donde se aprende, se estudia, se enseña, se busca y se procesa. Y de Follia: la locura que llevamos con nosotros, pero de la cual nos gustaría empezar a fantasearnos acrobáticos investigadores. Siempre de teatros y similares trampas inmersas en los lodos del malestar nos ocupamos, así que no iremos muy lejos. En la práctica.

Pero teóricamente la Academia abre a la Locura. No más en las trincheras, en un sangriento combate cuerpo a cuerpo con el enemigo metadona, psicosis, anorexia, lamas giratorias y espadas de fuego, sino en un trascendental tu a tu con Dios, mitad físico, mitad místico.

Un poco de teoría de la locura para crear una estrategia.

 

Entrare fuori

La naturalidad de la que hablamos es el equilibrio, permanentemente puesto en crisis, entre lo que se considera «terapéutico» en la discusión de los técnicos y lo que, en los anhelos, en los vacíos del tiempo y actividades «normales», en las elecciones de vida y representación de uno mismo, en la búsqueda de sentidos y de la belleza, en las pausas con el mundo y sus repetidos rituales, es considerado como «terapéutico» por los protagonistas. Es probable que en Trieste la época de las interferencias se haya acabado: tanto en el rechazo del acceso para aquellos que sufren la crisis, como en el uso instrumental del laboratorio por parte del técnico.

Se terminó el doloroso protocolo de la memoria en la que – cualquiera que fuera el trabajo de las manos, el vertido de material de color sobre papel o lienzo, el sentido del tacto lanzado sin conciencia o la investigación sobre el barro y la arcilla – las ideologías del «hágalo usted mismo» y las teorías prestadas del «arte pobre» nada más añadían a las prácticas constrictivas y pseudo-científicas de la nomenclatura del manicomio, sino una nueva desolación, una nueva miseria y el rechazo de la investigación cualitativa del sujeto. Y también se terminó el sentido elitista y arrogante de hacer artístico, encerrado en las formas alcanzadas por las técnicas expresivas y para el disfrute estético popular.

 

Il diritto al bello

Llevar la calidad y la belleza allí donde no está prevista, crear espacios conectados con los cuerpos, las cabezas, los corazones, la imaginación de las personas que los utilizarán. Incluir la dignidad entre los elementos del proyecto. Ignorar las posibilidades concretas e ir más allá de la miseria de la realidad. Convertir las zonas fronterizas marginales en zonas libres, estimulando la creatividad y la experimentación, vinculando la calidad del trabajo y la calidad de los objetos y haciendo de todo esto algo productivo.

Hábitat social: una definición quizás gastada, una etiqueta para decir y sobre todo hacer esto y más, un hilo que une una experiencia y la marca, un taller de carpintería y uno de diseño.

¿Es el hábitat social una propuesta en curso? ¿O es actualmente una propuesta congelada? ¿Los pequeños signos fuertes, pero de pequeña escala, hasta ahora producidos son un camino o una repetición eterna? Comenzando de la calidad expresada hasta ahora, ¿queremos ir hacia un proyecto más amplio y oxigenado y, en grados, activar grandes energías y causar recaídas positivas para todos? ¿O nos conformaremos con flores para enseñar?

¿O son las flores para enseñar y la vitrina una política, una elección cristalizadora, un eterno bonsái que nos permite, simultáneamente, sostener una imagen en las relaciones exteriores y faltar a la responsabilidad en las relaciones internas?

 

La rosa che c’è

Faltan cinco mil rosas porque cinco mil las hemos puesto, pero otras tantas habíamos, además, prometido. Son los que aún no están allí si en una tarde de verano en el parque aún no hay nadie, si la vida real, prometida en lugar de la cosa horrible que estaba allí, aún no se ha producido realmente. Hay demasiados sonidos de risa y canciones de la noche, el ruido del eros de las discotecas en verano, el ruido corporal de las hogueras y las fiestas de fin de año que pasarlas bailando con locos parecía hermoso y justo, o tal vez incluso de ellos nos aprovechamos, inocentes, para tejer el amor.

Pero si no aprovechas las cosas para el amor, ¿por qué deberían importarte? Si el amor no es el verdadero propósito, la verdadera excusa, la única cosa sensata, ¿dónde encontrar otra? Esas (las rosas) que están allí nos hablan del amor que, sorprendiendo al mundo, ha permitido a muchas y muchas personas, de las cuales guardo memoria, imaginar que tenía sentido estar allí, día tras día, para cambiar el mundo (no, sólo ese mundo).

Las rosas que faltan dicen de algo que se ha detenido y que nadie sabe si volverá a tomar su propio camino. Cada uno que está allí llama a otro que no está, ¿no estará? Tal vez en las tardes de primavera las luces de «Il Posto delle Fragole» se encenderán otra vez y el aroma de las rosas reavivará el aroma de otros cuerpos jóvenes. Tal vez no.

Tal vez las ideas nacen y pueden crecer en un lugar, pero luego tienen que perderse por todas partes.

https://www.palinsestobasagliano.info/

Javier Pividal – Nuevo Intellettuale

Nuovo Intellettuale

Installazione e stampa digitale. 2020

Installazione: sedia, camicia, proiettore di diapositive e cenere

Stampa digitale su carta e vetrina di perspex. [in sala]

Nuovo Intellettuale è una riattivazione della performance Intellettuale realizzata da Fabio Mauri con la collaborazione di Pier Paolo Pasolini nella Nuova Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna nel 1975. Mauri proiettò sul petto di Pasolini il suo film “Il Vangelo secondo Matteo”. In questo reenactment sul petto dell’artista si proietta questa volta l’immagine apparsa sui giornali del corpo senza vita di Pasolini, trovato sulla spiaggia di Ostia il 2 novembre del 1975.

NUEVO INTELLETTUALE

Instalación e impresión digital, 2020

Instalación: silla, camisa, proyector de diapositivas y ceniza

Impresión digital sobre papel y vitrina de perspex. [en sala]

Nuevo Intellettuale es una reactivación del performance Intellettuale llevado a cabo por Fabio Mauri con la colaboración de Pier Paolo Pasolini en la Nuova Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna en 1975. Mauri proyectó sobre el pecho de Pasolini su propia película “Il Vangelo secondo Matteo”. En este reenactment sobre el pecho del artista se proyecta esta vez la imagen aparecida en prensa del cuerpo sin vida de Pasolini, encontrado en la playa de Ostia el 2 de noviembre de 1975.

Nuevo intelletuale - Javier Pividal

Imagen de la instalación en la cripta

 

Enrique Radigales – Altoparlante

ALTOPARLANTE

Alluminio galvanizzato, altoparlanti e audio composto utilizzando intelligenza artificiale. 2020.

Questa scultura sospesa emette dei canti sintetici generati tramite la tecnica di Intelligenza Artificiale (IA) denominata Analisi di Componenti Principali. Questi canti artificiali si generano a partire da un grande database composto dai canti reali di tutti gli uccelli attualmente presenti sul territorio italiano. Nella scultura si può distinguere un testo perforato nell’alluminio che descrive i campi giuridici sui quali si prescrivono attualmente i crimini ecologici. Questi testi sono stati scritti con un carattere tipografico disegnato da Neville Brody negli anni ’90 che ne rende incomprensibile la lettura.

Progetto, biografia e altre opere

Altre opere lungo la mostra: Psiconido

ALTOPARLANTE

Aluminio galvanizado, altavoces y audio compuesto utilizando inteligencia artificial. 2020.

Esta escultura suspendida emite unos cantos sintéticos generados mediante la técnica de Inteligencia Artificial (IA) denominada Análisis de Componentes Principales. Estos cantos artificiales se generan a partir de una gran base de datos compuesta por los cantos reales de todos los pájaros que actualmente habitan en territorio italiano. En la escultura se puede diferenciar un texto perforado en el aluminio que describe los campos jurídicos sobre los que se prescriben actualmente los delitos ecológicos. Estos textos han sido escritos con una tipografía diseñada por Neville Brody en los años 90 lo que hace incomprensible su lectura.

Proyecto, biografía y otras obras

Otras obras en la exposición

Jose Ramón Ais – Prospettiva

Alberi per strade, imperi e paradisi. Prospettiva

Stampa lambda su carta RC montata su alluminio

Nel progetto “Alberi per strade, imperi e paradisi” sto realizzando diversi schemi o modelli di disposizioni di alberi in fila, suscettibili di essere utilizzati nello spazio pubblico. Questi schemi sono combinazioni di varie specie arboree rilevanti in diversi momenti della storia di Roma. Il pino, pinus pinea, l’albero più rappresentativo della città, deve la sua massiva presenza al suo utilizzo durante il periodo fascista per legare l’immagine del regime allo splendore dell’antico impero romano.

Giacomo Boni, architetto, archeologo e restauratore, fu il direttore degli scavi del Foro Romano e del Palatino. Interessato alle piante che crescevano sulle rovine, creò una specie di vivaio sperimentale basato sulla flora descritta nei testi classici di Virgilio e Plinio il Vecchio, tra gli altri. Giacomo Boni fissò le regole nell’uso delle specie utilizzate nel paesaggismo urbano durante il regime fascista.

Gli scavi e le demolizioni nel Foro Romano culminarono nel 1932 con la creazione di Via dei Fori Imperiali, un viale che univa Piazza Venezia al Colosseo, i due punti di fuga di una prospettiva disegnata dai pini. La prospettiva, una sistematizzazione visiva creata nel Rinascimento, fu pervertita dall’illusione ottica che cercava il barocco. La galleria per il palazzo Spada di Borromini è il modello per la creazione di una disposizione urbana di pini. Seguendo la logica di questa prospettiva forzata, 12 pini vengono allineati ordinatamente in base a età e altezza per creare un viale in cui lo spazio e il tempo vengono percorsi a partire dai loro parametri alterati.

Progetto e altre opere in mostra:

Lignum Crucis

Vite Maritata 

 

Arbolado para calles, imperios y paraísos. Prospettiva

Impresión lambda en papel RC montado sobre aluminio

En el proyecto “Arbolado para calles, imperios y paraísos” estoy desarrollando diferentes patrones o modelos de alineaciones de árboles, susceptibles de ser utilizados en el espacio público. Estos patrones son combinaciones de varias especies arbóreas relevantes en diferentes momentos de la historia de Roma. El pino, pinus pinea, es el árbol más representativo de la ciudad, debe su masiva presencia a su utilización durante el periodo fascista para conectar la imagen del régimen con el esplendor del antiguo imperio romano.

Giacomo Boni, arquitecto, arqueólogo y restaurador, fue el director de las excavaciones del foro romano y Palatino. Interesado en las plantas que crecían sobre las ruinas, creo una especie de vivero experimental basado en la flora descrita en los textos clásicos de Virgilio y Plinio el viejo, entre otros. Giacomo Boni dio las pautas en el uso de las especies utilizadas en el paisajismo urbano durante el régimen fascista.

Las excavaciones y derribos en el Foro romano culminaron en 1932 con la creación de la via di fori imperiali, una avenida que unía la piazza Venezia con el Colisseo, los dos puntos de fuga de una perspectiva dibujada con pinos. La perspectiva, una sistematización visual creada en el renacimiento, fue pervertida por la ilusión óptica que buscaba el barroco. Borromini y su galería para el palazzo Spada, es el modelo para la creación de una alineación urbana de pinos. Siguiendo la lógica de esta perspectiva forzada, 12 pinos se alinean ordenadamente según su edad y altura para crear una avenida en la que el espacio y el tiempo se recorren desde sus parámetros alterados.

 

Proyecto y otras obras en la exposición:

Lignum Crucis

Vite Maritata

Jose Ramón Ais – Vite Maritata

Vite Maritata

Vite Maritata

VITE maritata  [ITA]

Jose Ramón Ais. Roma 2020

«Vite maritata» è un’opera che nasce durante la quarantena all’Accademia a causa della pandemia di Covid 19. Quest’opera ricrea la pratica usata fin dai tempi dell’Impero romano dove veniva usato l’olmo come tutore della vite.  Un giorno, osservando dal giardino la fioritura di uno degli olmi allineati in Via Garibaldi, mi sono accorto che si trovava vicino a una delle viti dell’Accademia e che era possibile collegarli.

Molti di questi alberi si sono praticamente seccati a causa della grafiosi dell’olmo, una malattia che sta decimando la specie in tutto il mondo, avvicinandola all’estinzione.

«Vite maritata» è un gesto che collega la vite e l’olmo, saltando il muro che separa lo spazio del nostro confinamento con l’esterno, è un abbraccio che identifica la vulnerabilità degli alberi con la nostra stessa vulnerabilità.

Più info: biografia, progetto e altre opere che fanno parte della mostra Processi 147.

 

Vite maritata [es]

Jose Ramón Ais. Roma 2020

«Vite maritata» es una obra que surge durante el encierro en la Academia debido a la pandemia del Covid 19. Esta obra recrea la práctica utilizada desde tiempos del imperio romano de utilizar el olmo como tutor de la vid. Observando un día desde el jardín la floración de uno de los olmos alineados en vía Garibaldi me di cuenta de que se encontraba cerca de una de las vides de la Academia y de que era posible conectarlos.

Varios de estos árboles están prácticamente secos debido a la grafiosis del olmo, una enfermedad que está diezmando la especie a nivel mundial, acercándola a su extinción.

«Vite maritata» es un gesto que conecta la vid y el olmo saltando el muro que separa el espacio de nuestro encierro con el exterior, es un abrazo que iguala la vulnerabilidad de los árboles con nuestra propia vulnerabilidad.

Más información: biografia, proyecto y otras obras dentro de la exposición Processi 147.

 

Federico Guzmán – Baubo

Baubo

La diosa de la risa que libera. Baubo es una diosa griega menor. Ha pasado prácticamente desapercibida en medio del concierto de dioses y diosas de gran poderío que nos ha brindado la cultura griega. La rescataron del olvido grandes mujeres como Clarissa Pinkola Estés, Jean Shinoda Bolen y Marija Gimbutas entre otras. Baubo es, sin duda, una diosa interesante en el universo de la mitología griega, pues, su único poder es, y ha sido siempre, el desparpajo, el ser auténtica, el fluir en el sentido de los acontecimientos y echar una carcajada bondadosa a los avatares de la vida. Baubo se ríe con su boca de arriba y se ríe con su boca de abajo. Y su carcajada doble espanta a los demonios que paralizan, amedrentan y destruyen los mejores valores y sueños humanos. De la carcajada sagrada de Baubo nace el coraje para realizar lo que la mayoría cree imposible. Su risa libera las hormonas del Amor con mayúsculas. Comparto en este cuadro su mito y espero que, cada mujer y cada hombre, incorpore algo del humor que tiene esta diosa menor, que con sus sonrisas, la horizontal y la vertical, sus risas y sus carcajadas nos coloca en la verdadera dimensión de la vida: el disfrute, el gozo y el fluir en la bondad.

 

Proyecto, biografía y otras obras