LOLA SAN MARTÍN ARBIDE – Processi 151
LOLA SAN MARTÍN ARBIDE
MUSICA PSICO-GEOGRAFICA. LA SPERIMENTAZIONE SONORA NELL’INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA (1957-1972)
REAL ACADEMIA DE ESPAÑA EN ROMA
PROCESSI 151 | MOSTRA FINALE DEGLI ARTISTI E RICERCATORI RESIDENTI, STAGIONE 2023/2024
20 giugno 2024
SCHEDA TECNICA
L’arte come atmosfera e la musica come sottofondo sonoro
Lola San Martín Arbide
2024
Walter Olmo (Alba, 1938-Roma, 2019), Come non si Comprende l’Arte Musicale. Morte e Trasfigurazione dell’Estetica, 1957
Documento originale in mostra
MUSICA PSICO-GEOGRAFICA. LA SPERIMENTAZIONE SONORA NELL’INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA (1957-1972), IL PROGETTO
Nel corso della storia, la musica accademica è stata utilizzata come musica di sottofondo più spesso di quanto si possa pensare. Dal Novecento in poi, il pubblico delle principali sale da concerto è diventato gradualmente più silenzioso per consentire un ascolto concentrato, riflessivo e analitico. Questo tipo di ascolto è tuttavia un’eccezione. Molte opere che oggi ascoltiamo in questo modo sono state composte come sottofondo sonoro per azioni quotidiane, come godersi un banchetto o conciliare il sonno. È il caso della Tafelmusik di Georg Philip Telemann e delle Variazioni Goldberg di J. S. Bach, per citare due casi paradigmatici. Tuttavia, è solo all’inizio del Novecento che avviene una differenza formale nella composizione della musica d’ambiente e di quella concepita per un ascolto attento. La musica di sottofondo è quindi concepita come necessariamente discreta e la sua durata e struttura dipendono più dalle esigenze specifiche della vita quotidiana che dalle convenzioni compositive delle varie forme musicali quali la sonata, la fuga, il rondò, ecc. In questo modo, la musica d’ambiente si avvicina al design industriale e acquisisce pertanto le sfumature dell’utilitario e del funzionale.
La musica d’ambiente si colloca quindi all’estremo estetico opposto rispetto alla famosa concezione dell’arte per l’arte. Si tratta piuttosto di “soddisfare bisogni utili”, come disse il compositore francese Erik Satie (1866-1925), che teorizzò questo genere funzionale con i suoi brani noti come Musique d’ameublement (1917), che definì suoni industriali. Satie lavorò in una Parigi rivoluzionata da nuove forme di consumismo e intrattenimento popolare. Sia la sua musica d’ambiente che quella cinematografica devono molto a questo contesto urbano, dove hanno attinto tanto dalla musica da cabaret quanto dai suoni delle strade e dal design industriale e dai suoi materiali. Così, alcune delle sue brevi composizioni d’ambiente hanno titoli come “Piastrelle sonore” (Carrelage phonique) o “Arazzo in ferro battuto” (Tapisserie en fer forgé). Nel “Saggio sulla musica d’arredamento” Satie difende la sua proposta di uno sfondo musicale con un tono scherzoso che imita gli slogan pubblicitari e annuncia questo tipo di musica come un nuovo genere che può essere “confezionato su misura”.
La musica utilitaristica di Satie è stata descritta come un vicolo cieco. La figura di questo compositore è stata recuperata solo nella seconda metà del Novecento nel contesto della neoavanguardia attraverso il compositore americano John Cage. Descritto come una figura discordante e marginale nel contesto di Parigi, sembra che Satie non abbia lasciato tanti discepoli tra i compositori quanto tra gli artisti di altre discipline. Il fotografo Man Ray descrisse Satie come l’unico compositore che avesse anche gli occhi. Nella sua Francia natale, il pittore francese Maurice Lemaître, membro del gruppo d’avanguardia dell’Internazionale Lettrista, rivendicava la “musica di Satie che non serve a nulla” come uno dei meriti dell’avanguardia storica. L’Internazionale Lettrista si unì alla London Psychogeographical Association e al Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista per fondare l’Internazionale Situazionista nel 1957.
L’Internazionale Situazionista tenne il suo congresso di fondazione nell’estate del 1957 nel paesino di Cosio d’Arroscia, in Liguria. Questo collettivo basava gran parte della sua sperimentazione artistica sullo studio e la creazione di ambienti. L’atteggiamento utopico dei situazionisti si proponeva di smantellare il concetto di opera d’arte autonoma e di favorire invece la “dissoluzione dell’arte in una rivoluzione politica”. Una delle principali preoccupazioni di questa rivoluzione era il modo in cui l’ambiente urbano condiziona la vita emotiva delle persone. Da qui nacquero la pratica della deriva psicogeografica e il concetto di urbanistica unitaria, che chiedevano entrambi di trasformare la città in un campo di possibilità in cui il soggetto non fosse estraneo al gioco e all’avventura. In questo contesto, la pratica artistica si orientava non verso la creazione di opere autonome, bensì verso la costruzione integrale di un’atmosfera.
Il 30 maggio 1958 venne inaugurata alla Galleria Notizie di Torino La Caverna dell’antimateria, opera del pittore piemontese Pinot-Gallizio e del figlio Giors Melanotte. Si tratta di un’opera pionieristica di installazione multimediale e immersiva nel contesto dell’avanguardia europea. Le pareti di questa caverna erano ricoperte dalla pittura industriale di Gallizio, che veniva venduta al metro e che, come la Musique d’ameublement di Satie, poteva quindi essere realizzata su misura. La Caverna era un ambiente totale, in cui convergevano la pittura e il suono, la diffusione di profumi e il movimento di figure umane, anch’esse vestite con le tele di Gallizio.
Rispondendo ai precetti situazionisti, il compositore Walter Olmo (1938-2019) – unico musicista tra i fondatori dell’Internazionale Situazionista – ideò una musica d’ambiente con sottofondi sonori, i cui principi applicò all’installazione torinese della Caverna, la cui componente sonora proveniva da un theremin modificato. Tra i suoi testi del 1957 ricordiamo “Come non si Comprende l’Arte Musicale. Morte e Trasfigurazione dell’Estetica”, qui presentato integralmente.
Gallizio immaginava che la sua pittura industriale potesse avere una varietà di applicazioni, ad esempio nell’arredamento e nell’architettura. Olmo, da parte sua, aveva iniziato a sperimentare la manipolazione del suono a metà degli anni Cinquanta, utilizzando nastri magnetici. La sua musica per sottofondi sonori doveva essere discreta e adattarsi alla vita quotidiana. Olmo ne prevedeva la diffusione in spazi come salotti, bar, biblioteche, cucine, ecc. Il musicista, produttore e compositore britannico Brian Eno (1948) ha definito la sua ambient music negli stessi termini. Olmo si riferiva alla sperimentazione con il rumore dei futuristi come uno dei precedenti storici della sua musica d’ambiente. Eno, d’altra parte, cita nei suoi scritti Muzak, il marchio americano che negli anni Trenta vendeva musica d’ambiente per negozi e abitazioni e il cui nome designa genericamente questa musica, chiamata anche canned music, musica da ascensore, musica leggera ecc.
Il primo album di musica di sottofondo di Eno, Ambient 1: Music for Airports (1978), è spesso considerato l’opera che ha inaugurato il genere. Fu utilizzato in pubblico all’aeroporto La Guardia di New York e fu il primo di una lunga serie di album d’ambiente del compositore. L’idea centrale che collega queste tre menti originali è il suo carattere industriale e la possibilità di comporre una musica che non culmina mai in una cadenza finale: la musica d’ambiente si adatta alla durata delle attività della vita quotidiana.
Proprio come Satie e Olmo, la musica d’ambiente di Eno è il frutto del suo interesse per i parallelismi tra musica e pittura e per la capacità della musica di creare ambienti immersivi. L’utopia della meccanizzazione della composizione della musica d’ambiente, del suo design e della sua produzione industriale, si concretizza nel caso di Eno nelle applicazioni per telefoni cellulari sviluppate dal compositore in collaborazione con Peter Chilvers. Queste producono la cosiddetta musica generativa che rende obsoleta la figura del compositore. Il compositore vive ora nel telefono di chiunque scarichi l’applicazione, creando così una musica d’ambiente infinita ma sempre mutevole.
La musica d’ambiente di Satie, Olmo ed Eno si basa sull’esplorazione della nozione di utilità applicata alla musica. Questa nozione è veicolata attraverso l’utopia macchinista di progettare sistemi creativi o dispositivi industriali in grado di generare arte, un’arte liberata dagli aspetti mondani della creazione artistica, come i vincoli di spazio e tempo di un’opera d’arte convenzionale o la necessità di ispirazione e ingegno. Questi sistemi producono ripetizioni a volontà e generano una composizione che promette di fondersi con l’ambiente. È paradossale, tuttavia, che questi esempi siano musica d’ambiente relativamente poco discreta: quella di Satie per la sua sonorità incisiva, quella di Olmo per il contesto espositivo in cui si inserì, mentre quella di Eno attira l’attenzione dell’ascoltatore per la sua originale finezza. In ognuno dei tre casi si può apprezzare lo sforzo dei compositori di rivendicare il diritto al silenzio, di non rovinare le atmosfere quotidiane utilizzando come sottofondo sonoro opere che non sono state concepite per questo uso, e di offrire un’alternativa specificamente pensata per questo scopo. Satie lo ha fatto partendo dall’avanguardia più ironica, Olmo dall’utopia rivoluzionaria ed Eno dal fascino per la tecnologia della produzione musicale.
SU LOLA SAN MARTÍN ARBIDE
Bilbao, 1987. Lola San Martín Arbide si è laureata in Storia e Scienze della Musica e in Traduzione e Interpretazione presso l’Università di Salamanca. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Musicologia presso la stessa università nel 2013 con una tesi sulla musica d’ambiente, lo spazio urbano e l’arte multimediale. Da allora ha lavorato come ricercatrice post-dottorato presso l’Università dei Paesi Baschi ed è stata ricercatrice presso la Oxford University e l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi. Attualmente è ricercatrice Ramón y Cajal nell’Area della Musica dell’Università di Siviglia. Ha effettuato soggiorni di ricerca presso l’Observatoire musical français (Paris IV-Sorbonne), la University of California Los Angeles (UCLA) e il New Europe College-Institute for Advanced Study (Bucarest).
Le sue principali linee di lavoro sono la storia culturale della musica dal XIX secolo in poi, gli scambi tra le arti, la musica nei media audiovisivi, i rapporti tra musica e spazio urbano, l’ecologia sonora e la storia delle emozioni, in particolar modo la nostalgia. Ha pubblicato articoli e numerosi capitoli di libri su Erik Satie e Claude Debussy, sull’opera Carmen, sulle mappe sonore e attualmente sta scrivendo una monografia sul paesaggio sonoro e musicale di Parigi attraverso il cinema, la letteratura e la musica del XIX e XX secolo.