Montse Lasunción – Italiano
Introduzione
MONTSERRAT LASUNCIÓN
Nel XIX secolo prendono corpo i principali musei con intento educativo che perseguono l’ideale di una società “culturalizzata”. È il momento della comparsa e del perfezionamento di alcune scienze e discipline. Questo darà luogo alla creazione di musei di ogni genere, come quelli di storia naturale, archeologia o quelli delle riproduzioni artistiche, nei quali si espongono copie in gesso di monumenti e sculture di tutto il mondo.
Con lo stesso spirito, le università creeranno gallerie e musei e affioreranno le scuole d’arte e mestieri, in cui gli studenti avranno accesso a ogni genere di riproduzioni, indispensabili per la loro formazione. Musei e istituti educativi saranno strettamente legati, un caso emblematico è il Museo South Kensington, futuro V&A Museum, e la Scuola di Arti Decorative di Londra.
I fenomeni derivati dall’industrializzazione influenzeranno e trasformeranno il mondo dell’arte, del design e, in definitiva, della cultura.
Sarà l’epoca delle Esposizioni Universali, luoghi ideali per mostrare i progressi tecnologici dovuti all’industrializzazione e per far conoscere l’ingegno e il talento artistico di ogni nazione.
Contemporaneamente, ci sono grandi campagne archeologiche e scientifiche fuori dall’Europa. Archeologi ed esploratori si affannano per riportare nella loro vecchia patria pezzetti di storia, arte e natura da Asia, Africa e America Latina, prendendo l’impronta dei loro tesori.
I musei tracceranno i loro discorsi con originali e riproduzioni. Replica e originale avranno un valore simile e si compendierà arte di tutte le epoche e stili.
Si esporranno grandi formati scultorei e frammenti di monumenti, scala 1:1, di timpani, colonnati, capitelli, fregi, templi induisti, buddisti, precolombiani.
È frequente riprodurre le policromie originali, ricavando repliche che ricreano il loro aspetto originale e, in alcuni casi, si punta ad avvicinare lo spettatore non soltanto al monumento ma al contesto originale, cercando di emulare il rapporto spaziale dello spettatore con il monumento originale.
Roma: dalla pietra al gesso
In particolar modo nel XVIII secolo, con l’auge del Grand Tour, Roma fu meta di viaggiatori europei interessati all’arte e all’archeologia e, ovviamente, di artisti, che trascorrevano un periodo nella città, tappa fondamentale nella loro formazione.
Con il fine di collezionare e studiare l’arte classica, era frequente commissionare a formatori romani la realizzazione di calchi in gesso di frammenti architettonici o sculture. Impronte della città trasformate in gesso erano spedite altrove, frammenti di Roma si spargevano in tutta Europa.
Un caso illuminante è quello dell’architetto britannico George Dance the Younger (1741-1825), che durante la formazione a Roma ne studiava l’architettura, misurando e disegnando alcuni monumenti. In una lettera del 1760 scrive al padre quanto segue:
“(…) dopo aver misurato l’Arco di Costantino, di cui mi sto occupando in questo momento, comincerò con la Cupola di San Pietro, i cui risultati ti invierò non appena avrò terminato (…) Realizzerò anche calchi di fregi antichi, disegni e incisioni, che mi serviranno per tutta la vita, oggetti con cui si può formare una buona collezione a Roma, essendo più economici che in qualunque altro posto”.
Dall’articolo di Sophie Descat, “Nouveaux programmes d’architecture. Le rôle du Grand Tour dans l’élavoration des premiers musées européens” in El Arte español entre Roma y París (siglos XVIII y XIX), pubblicato da Luis Sazatornil e Frédéric Jiméno, Casa de Velázquez, Madrid, 2014.
Nel XIX secolo, con la creazione dei musei pubblici, scuole d’arte ed esposizioni universali, si intensificherà la richiesta di calchi.
Con la prima esposizione celebrata nel Crystal Palace di Londra nel 1851, in cui si espongono calchi di opere di tutto il mondo, questa tendenza andrà ad aumentare.
Dopo l’esposizione, si creò una commissione per adornare e conservare il palazzo di cristallo. Intendevano decorarlo con oggetti artistici, in particolar modo riproduzioni in gesso. A tale scopo, la suddetta commissione contatterà diversi musei europei per proporre uno scambio di calchi.
Una richiesta della diplomazia di Prussia, nel 1852, un anno dopo la Great Exhibition, testimonia l’intenzione del Museo di Berlino di voler entrare in questa rete di scambi e a tale scopo richiede al Ministro di Commercio e Belle Arti dello Stato Pontificio di poter fare il calco di alcuni monumenti e sculture.
Anni dopo, nell’Esposizione Universale di Parigi del 1867, si firma un accordo tra diversi rappresentanti europei che mira a istituzionalizzare questi scambi di riproduzioni.
In questo contesto, i formatori romani lavoreranno intensamente in città: Malpieri, Torrenti, Giacomini, Ceci, sono alcuni di questi artigiani che lavorano su commissione o per propria iniziativa, commercializzando le copie nei loro laboratori e rifornendo scuole di arte, musei, accademie e collezionisti.
Richiesta e regolamentazione dei processi di calco
Dato che queste pratiche si moltiplicano nel corso del XIX secolo, c’è una preoccupazione crescente per mantenere in buono stato di conservazione i monumenti oggetto di calco. Suddette operazioni potevano lasciare segni e causare danni irreversibili.
Gli interessati dovevano adeguarsi alle normative dettate dalle autorità che gestivano i beni.
Proprio come per disegnare o prendere le misure di un monumento, per realizzare un calco era necessario avere il permesso del Camerlengo, amministratore dei beni e delle entrate dello Stato Pontificio, al quale appartenne Roma fino al 1870.
Dovevano richiederlo tramite un’istanza, in alcune occasioni avallata e revisionata da un funzionario o da un membro della commissione che regolamentava queste operazioni.
Lo scultore Antonio Canova (1757-1822) fu nominato Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato Pontificio nel 1802. La sua firma appare in alcuni documenti in qualità di autorità responsabile, che accorda il permesso richiesto.
Un’altra delle personalità che appare in questi documenti è l’architetto Giuseppe Valadier (1762-1839), che fu membro responsabile della commissione incaricata di regolamentare queste pratiche. Oltre all’intensa attività come architetto, fu una figura importante nella formulazione delle teorie moderne di restauro, prima della comparsa del “restauro filologico” di Camillo Boito (1836-1914).
Valadier svolse restauri emblematici. Tra i molti interventi, si annoverano quelli sull’Arco di Tito (1819-1824) e quello del Colosseo (1823-1826) con una visione molto contemporanea, contribuendo, insieme a Raffaele Stern (1774-1820) allo sviluppo di impostazioni moderne di restauro, in cui si manifesta grande sensibilità e rispetto per la conservazione delle parti originali differenziandole dalle aggiunte moderne.
È significativo che un profilo come Giuseppe Valadier fosse uno degli architetti che aveva la responsabilità che queste operazioni si svolgessero con la dovuta accuratezza.
In queste istanze si ricavano informazioni sulle opere che furono oggetto di copia e delle volte che furono rimodellate, nonché su restrizioni e divieti che esistevano per evitare danneggiamenti. È rilevante il fatto che nella maggior parte dei casi, l’argilla, e non il gesso, sia il materiale concesso dalla commissione per la presa dell’impronta (“trarre forma in Creta” o “formare in calco di Creta”), tenendo conto che l’uso di gesso presupponeva l’applicazione di oli e saponi che lasciavano macchie irreversibili sulla pietra. A volte è inclusa anche l’espressione “a forma perduta”, vale a dire, si permette l’uso di stampi persi.
Sebbene l’argilla e gli stampi elaborati insieme ad essa fossero considerati i più adeguati, in alcune occasioni i permessi non vengono concessi perché considerano che il bene in questione si stia deteriorando. Nel 1833, la Commissione delle Antichità e Belle Arti chiede al Camerlengo il divieto di prendere la forma e costruire impalcature attorno alle colonne e al fregio del tempio di Castore e Polluce, “per le continue apposizioni di argilla, dalle quali estrarre il modello (…) essendoci già abbondanti copie fatte in gesso. A questo si aggiunge che il peso delle impalcature potrebbe squilibrare quelle tre colonne e quel fregio, che sembra un prodigio che si mantengano così salde”.
Tra alcuni dei monumenti più richiesti durante la prima metà del XIX secolo figurano la Colonna Traiana, quella di Marco Aurelio, alcuni obelischi, capitelli del Pantheon, elementi del Foro di Traiano, frammenti del battistero di San Giovanni in Laterano, dell’Arco di Tito, colonne e fregi di templi, come quello di Castore e Polluce, etc.
Sono abbondanti anche le richieste per fare i calchi di busti e sculture di diversi stili ospitati da alcune chiese, come il caso della richiesta di Costantino Borghese, che nel 1844 richiede di fare i calchi dei busti di San Pietro e San Paolo della chiesa di San Sebastiano alle Catacombe, in cui si puntualizza che “venga realizzata con stampo perso o con semplice stampo di argilla”. Archivio di Stato di Roma. Camerlengato (1816-1854). Parte II 1824-1854. Titolo IV-Antichità e Belle Arti. Busta 295, num. 3378_3).
Si sottolinea il tipo di stampo e il materiale da utilizzare, nonché la necessaria pulizia da svolgere una volta terminate le operazioni. Un esempio è la richiesta dell’architetto Giovanni Azzurri del 1830 per poter fare il calco di “alcuni frammenti di monumenti” del XIV secolo delle chiese di Santa Maria sopra Minerva e di Santa Maria del Popolo; tuttavia, di quest’ultima gli viene negato il permesso.
Manuali del XIX secolo. Tecniche, materiali e procedimenti
Esiste una serie di manuali che compendiano i procedimenti utilizzati nel XIX secolo per la realizzazione delle riproduzioni.
Molti di essi raccolgono procedimenti che si praticavano già nei secoli precedenti.
Nel XIX secolo, grazie all’industrializzazione e ai progressi della chimica, appaiono nuovi materiali, e si modificano alcuni processi.
Questi trattati sono un compendio piuttosto concentrato dei diversi modi di riprodurre oggetti di pietra, terracotta, legno, cemento, metallo, anatomie, nature morte, etc.
Molti dei materiali usati per realizzare stampi possono essere utilizzati, a loro volta, per l’ottenimento del positivo o copia. Alcuni di essi sono: gesso, argilla, cera, carta, mollica di pane, colle di origine animale, etc.
Si procedeva con stampi effimeri, vale a dire, monouso o di pochi usi, il cui positivo veniva realizzato in situ. Dovendo agire con accuratezza, non era praticabile la realizzazione di complicati stampi in gesso a tasselli.
Le copie erano inviate alle istituzioni o ai laboratori, e da quella prima copia si potevano realizzare altri stampi a tasselli, più elaborati e complessi, dai quali si potevano ottenere moltissime copie e i cui procedimenti sono ampiamente conosciuti.
Per ogni tipo di modello e circostanza, saranno opportuni determinati modi di procedere e materiali concreti. Nel caso di monumenti e grandi formati, bisogna partire da due premesse fondamentali:
La prima è che si tratta di patrimonio originale, e per questo non si può danneggiare il modello con incisioni, rotture o macchie irreversibili. Bisogna stare attenti a non lasciare resti di sostanze che possano interagire con la superficie, per esempio grassi e saponi, che non soltanto provocano cambiamenti estetici, ma possono anche provocare trasformazioni fisico-chimiche.
La seconda premessa è che il calco verrà realizzato in situ, senza le comodità del laboratorio, a volte su impalcature e con tempi ristretti.
Questi due aspetti condizioneranno i materiali e i procedimenti, che dovranno essere il meno aggressivi possibile.
Argilla
I manuali francesi sono quelli che danno più indicazioni sulla tecnica più adeguata per “monumenti pubblici”. Secondo Lebrun (Noveau manuel complete du Mouleur, Manuels-Roret, 1850) è il materiale più adeguato e la sua tecnica la più semplice, per una serie di motivi:
- ha soltanto bisogno di argilla, dita e un “sacchetto di cenere”. Questa, come il talco, si spargeva sulla superficie del modello per evitare l’aderenza dell’argilla al modello.
Possono essere stampi di uno o più tasselli, ma sempre meno di quelli di uno stampo in gesso “perché un solo tassello di creta sostituisce diversi tasselli che ci si vedrebbe obbligati a realizzare utilizzando il gesso”. (Lebrun, 1850, p. 25).
- Si applica molle e non si può rimuovere finché non acquisisce una certa rigidità.
- Si produce una ritrazione quando perde umidità, il che facilita il suo ritiro “il gesso, che invece si gonfia, obbliga il formatore a realizzare un numero maggiore di tasselli ”. (Lebrun, 1850, 25).
- “Tutto questo, che fa sì che lo stampaggio sia meno costoso di uno stampo in gesso, incoraggia gli artisti a preferire il primo quando hanno bisogno di riprodurre frammenti di monumenti pubblici”. (Lebrun, 1850, p. 25).
Al contrario, il gesso, ha bisogno di grassi e oli come agenti separatori, pertanto se ne consiglio l’uso soltanto quando il modello non è originale, e insiste sul fatto che queste sostanze potrebbero danneggiare superfici come il marmo. Vediamo cosa consiglia a proposito di questo supporto:
“Il formatore comincia il suo lavoro lavando il marmo con acqua molto carica di sapone. Esiste la cattiva abitudine di usare olio per tale effetto, ma produce sul marmo una macchia irreversibile che penetra sempre di più”. (Lebrun, 1850, p. 49).
Terminato il processo, consiglia di lavare l’originale con “una spugna imbevuta d’acqua pura e calda per rimuovere il sapone che, seccandosi, ingiallirebbe il marmo (Lebrun, 1850, p. 49).
Gelatina
Dalla seconda metà del XIX secolo in poi l’utilizzo di gelatina su grandi formati fu più frequente e si migliorarono le formule, sostituendo l’olio di lino o la melassa, che si aggiungevano alla colla animale, con glicerina liquida. Nei manuali si trovano diverse ricette. Già in precedenza si utilizzava per realizzare stampi su nature morte, anatomie e opere delicate di piccolo formato, come cammei di avorio. Il suo grande vantaggio rispetto al gesso e all’argilla è l’elasticità, che permette l’elaborazione di stampi con pochi tasselli, facilitando la sformatura. Tuttavia, presuppone anche un processo complesso e ha bisogno, come l’argilla, di madriforme che contengano i pezzi dello stampo per evitare che si deformino. Le sostanze da applicare per evitare che la gelatina aderisca al modello possono compromettere anche le superfici di pietra, e pertanto gli stampi in gelatina non sono sempre adeguati. Proprio come il gesso e l’argilla, venne utilizzata per riprodurre opere di tutto il mondo.
Mastice di cera e resina
Servivano per zone delicate, in particolar modo in combinazione con il gesso, in concavità e anfratti in cui c’era il pericolo che il gesso rimanesse incastrato. Sono poco studiate e sembra che il loro uso fosse molto frequente. Si ottenevano mescolando cera d’api, resine e cariche di gesso, carbonato di calcio o polvere di mattone.
“Il mastice vi sarà utile per riempire i neri, da cui il gesso non si potrebbe estrarre. Indurito a metà, perderà consistenza, e non conserverà la forma della cavità in cui è stato introdotto: indurito, non facendo più pressione, si romperà. Il mastice è dunque indispensabile per sostituire il gesso in tutte le parti di difficile soluzione”. (Lebrun, 1850, p. 36).